La Russia è stata ibernata in un inverno indefinito di subumana dottrina e di sovrumana tirannide. (da Dopoguerra, sull'affermarsi della rivoluzione bolscevica)
L'inverno è il periodo dell'anno che favorisce maggiormente l'immaginazione: ci si siede davanti al camino, si riflette sul passato, su quello che è stato l'anno appena trascorso, ci si prepara a quello che verrà. È una stagione psicologica, oltre che temporale.
[L'inverno] È la mia stagione preferita. In estate non vedo l'ora che venga il momento di infilarsi il maglione e uscire a passeggiare. Da bambino adoravo la neve perché, quando nevicava, era tutto più magico. Sono cresciuto in una città industriale, quindi non esattamente bella o poetica, ma con la neve si trasformava in un posto incantato.
Ogni volta che penso a Erto, il mio vecchio paese, quello abbandonato dopo il Vajont, con le vetuste case una attaccata all'altra e le vie di acciottolamento buie e strette, la memoria va verso l'inverno. Il primo ricordo è il tempo degli inverni, la memoria è quella della neve. Notti infinite, silenzi laboriosi, lunghi, pazienti, interrotti solo ogni tanto da sprazzi di allegria nelle feste di Natale e capodanno.
Fondare biblioteche è un po' come costruire ancora granai pubblici: ammassare riserve contro l'inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire.
Nell'oscurità invernale, l'araba tersa profondità azzurra da Baghdad dello struggente incantevole crepuscolo invernale di gennaio - mi spezzava sempre il cuore, una dolce stella lancinante in mezzo al turchino più magico del mondo, come pulsante d'amore - in quella notte vedevo i capelli neri di Maggie. - Nelle valve di Orione i veli dei suoi occhi, presi a prestito, scintillava un'oscura e fiera membrana d'una cupa potenza che covava ricchi monili della luna levatasi dalla nostra neve, e avvolgeva il mistero.
È certo la primavera la stagione più triste dell'anno. Ondeggia, incespicante e trasognata tra la bianca severità dell'inverno e la focosa maestà dell'estate, come una "donzelletta" acerba che non è più vera bambina e non è ancora donna fatta. È ridotta, perciò, alle malfide risorse del doppio gioco. In certi giorni un baccanale di sole indora e accende tutte le cime e tutte le superfici, e un'improvvisa afosità simula ipocritamente la gialla offensiva del giugno. Ma poi, il giorno dopo, sipari di nuvolone seppiacee si calano sugli orizzonti come gramaglie, il vento settentrionale uggiola e morde, i piovaschi impazziscono in furori diluviali, i fiumi aprono brecce nelle ripe, sui monti si ammonta un'altra volta la neve, tardiva ed intempestiva, e le prime erbe dei prati, stupite e strapazzate, vorrebbero rientrare sotto la terra. Passata la furia boreale, tornano le giornate grigie e accidiose, con qualche golfo di azzurro che subito si richiude, le strade fradice e sudice, i muri bollati di gore umide, i fossi colmi d'acqua lotosa. Eppoi, in pochi meriggi, tutto s'asciuga, tutto s'infiamma, tutto arde, tutto si riscalda e ci s'accorge, con mortificante sorpresa, che la primavera è finita, senza aver potuto godere, meno che pochi istanti, le sue incantate e decantate meraviglie.
Si può paragonare la nostra vita a una giornata d'inverno. Veniamo al mondo tra le dodici e l'una di notte e prima delle otto non fa giorno. Non sono ancora le quattro del pomeriggio e fa di nuovo scuro. Alle dodici moriamo.
Vieni a placarmi questo caos del tempo come allora, delizia della Musa | tu che concilii gli elementi tutti! Dacci la pace coi tranquilli accordi | celesti e unisci quel chè diviso finché la placida natura antica | fuori del tempo dai fermenti grande, alta e serena si sollevi. Torna | viva bellezza tu nei cuori miseri ed alle mense ospiti, ai templi torna! | Perché Diotima vive come i teneri boccioli dellinverno, del suo proprio | spirito ricca, lei anche il sole cerca, ma dello spirito il sole è già perito, | felice il mondo, e nella notte gelida ormai tempestano già gli uragani
L'inverno è la stagione che preferisco. La natura diventa magica, c'è un silenzio surreale, è il periodo in cui lavoro meglio. Riesco a concentrarmi. L'inverno mi ispira.
Non c'è che una stagione: l'estate. Tanto bella che le altre le girano attorno. L'autunno la ricorda, l'inverno la invoca, la primavera la invidia e tenta puerilmente di guastarla.
C'era una volta... Un re! diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C'era una volta un pezzo di legno. Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d'inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze.
Padre, se anche tu non fossi il mio | padre, se anche fossi a me estraneo, | per te stesso egualmente t'amerei. | Ché mi ricordo d'un mattin d'inverno | che la prima viola sull'opposto | muro scopristi dalla tua finestra | e ce ne desti la novella allegra. (Pianissimo)
[Talete] [...] siccome, povero com'era, gli rinfacciavano l'inutilità della filosofia, avendo previsto in base a calcoli astronomici un'abbondante raccolta di olive, ancora in pieno inverno, pur disponendo di poco denaro, si accaparrò tutti i frantoi di Mileto e di Chio per una cifra irrisoria, dal momento che non ve n'era alcuna richiesta; quando giunse il tempo della raccolta, cercando in tanti urgentemente tutti i frantoi disponibili, egli li affittò al prezzo che volle imporre, raccogliendo così molte ricchezze e dimostrando che per i filosofi è molto facile arricchirsi, ma tuttavia non si preoccupano di questo.
Oggi la carne intirizzita cerca
tremante il rosso focolare al buio
angolo. L'uragano al parossismo
ruggisce e fischia, e l'albero stecchito
s'abbatte nel giardino e sferza il muro.
Piove dalla finestra dietro il vetro
appannato le sera grigia e livida
sembra ondeggiare nel paesaggio secco,
e la nube lontana
suda giallo pallore di defunto.
L'oscuro cipresseto
lungi nereggia e la pineta stenta,
che si sfuma nell'aria annuvolata,
svanisce sotto il freddo Guadarrama.
Certo che ti farò del male. Certo che me ne farai. Certo che ce ne faremo. Ma questa è la condizione stessa dellesistenza. Farsi primavera significa accettare il rischio dell'inverno. Farsi Presenza, significa accettare il rischio dell'Assenza.