Tutti i vizi presuppongono tutti i delitti. Chi non confessa niente confessa tutto. Chi tace alle domande del giudice è di fatto mentitore e parricida.
Il popolo è l'insieme di tutti coloro che provano una necessità comune. Dove non esiste necessità non esiste vero bisogno. Dove non esiste vero bisogno pullulano tutti i vizi, tutti i delitti contro la natura, ossia il bisogno immaginario. La soddisfazione di tale fittizio bisogno è il "lusso".
Se domani gli uomini di un'intera nazione non sapessero mentire, diminuirebbe d'un tratto della metà il numero delle piccole colpe e dei grandi delitti.
Tutto sarebbe perduto se lo stesso uomo, o lo stesso corpo di maggiorenti, o di nobili, o di popolo, esercitasse questi tre poteri: quello di fare le leggi, quello di eseguire le decisioni pubbliche, e quello di giudicare i delitti o le controversie dei privati.
Saranno i giornali a riprendere nella loro cronaca il grigiore di delitti e punizioni. La spartizione è fatta, che il popolo si spogli dell'antico orgoglio dei suoi crimini.
Gli elementi che portano a risolvere i delitti che si presentano con carattere di mistero o di gratuità sono la confidenza diciamo professionale, la delazione anonima, il caso. E un po', soltanto un po', l'acutezza degli inquirenti.
I delitti sono proporzionali alla purezza della coscienza, e quello che per certi cuori è appena un errore, per alcune anime assume le proporzioni di un delitto.
[L'Europa] simile all'Angelus Novus di Klee, con la testa rivolta all'indietro, mentre il vento del progresso la trascina oltre [...] segnata dallo straniamento, dalla solitudine nella moltitudine, dal "nichilismo", da esplosioni irrazionali di violenza individuale e collettiva, dai delitti "inspiegabili", dalla diffusione su scala di massa della droga, dallo squadrismo calcistico, dal principio di tanti piccoli pogrom.
Un delitto è come ogni altra un'opera d'arte. Non si sorprenda: i delitti non sono affatto le sole opere d'arte che provengono da un'officina infernale. Ma ogni opera d'arte, sia essa divina o diabolica, ha un'impronta inevitabile; voglio dire che l'idea centrale è semplice, per quanto l'adempimento possa essere complicato.
Nulla di più comune, per esempio, che trovare un critico moderno che scriva cose di questo genere: 'Il Cristianesimo fu soprattutto un movimento ascetico, una corsa al deserto, un rifugio nel chiostro, una rinuncia alla vita e alla felicità; esso non fu che parte di una fosca e inumana reazione contro la natura stessa, un odio per il corpo, un aborrimento dell'universo materiale, una specie di suicidio universale dei sensi e anche dell'individuo. Derivava da un fanatismo orientale come quello dei fachiri, ed era basato su un pessimismo orientale che considerava l'esistenza stessa come un male'. In tutto questa cosa straordinaria è che tutto è verissimo; vero in ogni particolare, con la sola differenza che è attribuito erroneamente a chi non ci ha niente a che vedere. Non è vero della Chiesa; è vero delle eresie condannate dalla Chiesa. È come se uno fosse obbligato a scrivere un'analisi degli errori e del malgoverno dei ministri di Giorgio III, con la piccola inesattezza che tutto il racconto si riferisse a Giorgio Washington; o come se uno facesse un elenco dei delitti dei bolscevichi con la sola variante di attribuirli allo zar. La Chiesa primitiva fu, sì, ascetica, ma in dipendenza di una filosofia totalmente diversa da quella di una guerra alla vita e alla natura; la quale realmente esistette nel mondo, e basterebbe che i critici sapessero dove andare a cercarla.
È mai vissuta creatura umana, che sollevando le pupille al cielo d'Italia abbia negato esser questo il più puro sereno che mai rallegrasse il sorriso di Dio? È mai vissuta creatura umana, che sollevando le pupille al cielo d'Italia allorché il figlio primogenito della Natura lo veste della pompa dei suoi raggi non abbia sentito suscitarsi la mente pei grandi che non sono più, di cui il nome è rimasto nell'anima come armonia di arpa che cessò di esser tocca? Quali braccia non si prostesero a quell'astro di vita, mentre abbandonando alla notte il dominio del cielo, dai confini dell'oceano lo saluta con gli ultimi raggi, e non implorarono che rimanesse nella sua celeste dimora? Ma s'egli partì con la sera tornò col mattino, e vide i secoli dileguarsi nella eternità, le generazioni incalzarsi nella tomba, e la vicenda infinita delle virtù e dei delitti. Breve fu la sua luce sopra l'onore d'Italia; lunga sul dolore, e su l'onta.
La cosa che più mi colpisce dell'Italia dei delitti? È che il Sud continui a essere considerato "terra delle passioni", mentre in realtà di omicidi passionali se ne consumano soprattutto nel Nord. Come si spiega? Semplice. Gli uomini non uccidono le donne perché ne abbiano paura - come spesso si sente dire -, ma perché le donne non hanno più paura di loro. E ciò avviene soprattutto nel Nord Italia. Cosa voglio dire? Che nel Sud si consumano meno crimini passionali non perché gli uomini siano più protettivi ma, al contrario, perché le donne sono ancora sottomesse.
La razionalità non fa più parte del nostro bagaglio intellettuale e morale. È stata picconata da tutte le parti la razionalità; accusata di essere all'origine dei delitti e del più grave tra tutti quello della superbia. Così la luce della ragione è stata spenta, nuove ideologie si sono installate al posto di quelle crollate in rovina, fondamentalismi d'ogni tipo hanno preso il posto della tolleranza e della certezza del diritto.
Non c'è bisogno che vi ricordi [discorso di Kien ai libri della sua biblioteca] in modo particolareggiato la storia antichissima e superba delle vostre sofferenze. Scelgo soltanto un esempio per mostrarvi in maniera persuasiva quanto vicini siano odio e amore. La storia d'un paese che tutti noi in egual misura veneriamo, di un paese in cui voi avete goduto delle più grandi attenzioni e dell'affetto più grande, di un paese in cui vi si è tributato persino quel culto divino che ben meritate, narra un orribile evento, un crimine di proporzioni mitiche, perpretato contro di voi da un sovrano diabolico per suggerimento di un consigliere ancor più diabolico. Nell'anno 213 avanti Cristo, per ordine dell'imperatore cinese Shi Hoang-ti − un brutale usurpatore che ebbe l'ardire di attribuire a se stesso il titolo di "Primo, Augusto, Divino" − vennero bruciati tutti i libri esistenti in Cina. Quel delinquente brutale e superstizioso era per parte sua troppo ignorante per valutare esattamente il significato dei libri sulla base dei quali veniva combattuto il suo tirannico dominio. Ma il suo primo ministro Li-Si, un uomo che doveva tutto ai propri libri, e dunque uno spregevole rinnegato, seppe indurlo, con un abile memoriale, a prendere questo inaudito provvedimento. Era considerato delitto capitale persino parlare dei classici della poesia e della storia cinese. La tradizione orale doveva venire estirpata a un tempo con quella scritta. Venne esclusa dalla confisca solo una piccola minoranza di libri; quali, potete facilmente immaginare: le opere di medicina, farmacopea, arte divinatoria, agricoltura e arboticoltura − cioè tutta una marmaglia di libri di puro interesse pratico. «Confesso che il puzzo di bruciato dei roghi di quei giorni giunge ancor oggi alle mie narici. A che giovò il fatto che tre anni più tardi a quel barbaro imperatore toccasse il destino che s'era meritato? Morì, è vero, ma ai libri morti prima di lui ciò non arrecò alcun giovamento. Erano bruciati e tali rimasero. Ma non voglio tacere quale fu, poco dopo la morte dell'imperatore, la fine del rinnegato Li-Si. Il successore al trono, che aveva ben capito la sua natura diabolica, lo destituì dalla carica di primo ministro dell'impero che egli aveva rivestito per più di trent'anni. Fu incatenato, gettato in prigione e condannato a ricevere mille bastonate. Non un colpo gli venne risparmiato. Fu costretto a confessare mediante la tortura i suoi delitti. Oltre all'assassinio di centinaia di migliaia di libri aveva infatti sulla coscienza anche altre atrocità. Il suo tentativo di ritrattare più tardi la propria confessione fallì. Venne segato in due sulla piazza del mercato della città di Hien-Yang, lentamente e nel senso della lunghezza, perché in questo modo il supplizio dura più a lungo; l'ultimo pensiero di questa belva assetata di sangue fu per la caccia. Oltre a ciò non si vergognò di scoppiare in lacrime. Tutta la sua stirpe, dai figli a un pronipote di appena sette giorni, sia donne che uomini, venne sterminata: tuttavia, invece di essere condannati al rogo, come sarebbe stato giusto, ottennero la grazia di venir passati a fil di spada. In Cina, il paese in cui la famiglia, il culto degli antenati, il ricordo delle singole persone sono tenuti così in gran conto, nessuna famiglia a mantenuto viva la memoria del massacratore Li-Si; solo la storia l'ha fatto, proprio quella storia che l'indegna canaglia, più tardi finita come ho detto, aveva voluto distruggere.
In chi ha commesso delitti sorgono rimorsi e terrori segreti che non danno requie all'anima, inducendola a ricorrere ai riti religiosi, alle cerimonie ed all'espiazione dei peccati.
Così, in molti casi, i più grandi delitti appaiono compatibili con la pietà e con la devozione superstiziosa. Così pure appare scorretto trarre qualsiasi netta conclusione a favore della moralità di un uomo dal fervore o dalla assiduità delle sue pratiche religiose, anche se è in buona fede. Anzi, i delitti più terribili alimentano i terrori superstiziosi e il fanatismo religioso.
La redenzione è sempre possibile a coloro che intendono lealmente ottenerla, non certo a coloro che per redenzione intendono amnistia per i passati delitti onde godersi in pace ciò che hanno estorto, predato o truffato.
Deggio dirvi che nello scrivere [Dei delitti e delle pene] ebbi innanzi agli occhi gli esempi del Machiavelli, del Galileo e del Giannone; udiva lo strepito delle catene agitate dalla superstizione, e le grida del fanatismo che soffocava i gemiti della verità. L'immagine di questo terribile spettacolo mi ha persuaso ad avviluppare talora la luce nelle nubi. Ho voluto difendere l'umanità senza esserne il martire. L'idea che io doveva essere oscuro, m'ha pure renduto tale alcuna volta senza necessità.
[da una lettera all'abate Morellet]
Perché ogni pena non sia una violenza di uno o di molti contro un privato cittadino, dev'essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata a' delitti, dettata dalle leggi.
[Conclusione]
Frasi sui delitti
DiCesare Beccaria
La morte di un cittadino non può credersi necessaria che per due motivi. Il primo, quando anche privo di libertà egli abbia ancora tali relazioni e tal potenza che interessi la sicurezza della nazione, quando la sua esistenza possa produrre una rivoluzione pericolosa nella forma di governo stabilita. [...] io non veggo necessità alcuna di distruggere un cittadino, se non quando la di lui morte fosse il vero ed unico freno per distogliere gli altri del commettere delitti, secondo motivo per cui può credersi giusta e necessaria la pena di morte.
Frasi sui delitti
DiCesare Beccaria
Il piú sicuro ma piú difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione.
Chi può ora sostenere la lettura dei romanzi dovuti alla penna del focoso giornalista-epigrammista che fu Ferdinando Petruccelli della Gattina [...], che vorrebbero dare quadri della Napoli borbonica e danno invece un cumulo di cose enormi, di delitti tenebrosi, di stranezze, di scempiaggini, senza disegno e senza stile, con una disinvoltura e un brio di maniera, meccanici e falsi?
Se il vostro scopo non è quello di creare virtù eroiche, ma abitudini tranquille; se preferite i vizi ai delitti [...] se, anziché agire in seno a una società brillante, vi basta vivere in mezzo a una società prospera [...] allora livellate le condizioni e costituite il governo della democrazia.