Vagabondavo solo come una nuvola | Che alta fluttua su valli e colline, | Quando a un tratto vidi una folla, | Una schiera di dorati narcisi | Lungo il lago e sotto gli alberi | Una miriade ne danzava nella brezza. | Fitti come le stelle che brillano | E sfavillano sulla Via Lattea, | Così si stendevano in una linea infinita | Lungo le rive di una baia. | Una miriade ne colse il mio sguardo | I fiori si lanciarono in una danza gioiosa | Lì presso danzavano le onde scintillanti, | Superate in letizia dai narcisi; | Un poeta non poteva che esser lieto | In così ridente compagnia. | Mirando e rimirando, pensai poco | Al bene che la vista mi recava: | Spesso quando me ne sto disteso, | Senza pensieri, o pensieroso, | Essi balenano al mio occhio interiore | Che rende la solitudine beata, | E allora il mio cuore si riempie di piacere, | e danzo con i narcisi.
Guarda la natura da questo prato, guardala bene e ascoltala. Là, il cuculo; negli alberi tanti uccellini - chi sa chi sono? - coi loro gridi e il loro pigolio, i grilli nell'erba, il vento che passa tra le foglie. Un grande concerto che vive di vita sua, completamente indifferente, distaccato da quel che mi succede, dalla morte che aspetto. Le formicole continuano a camminare, gli uccelli cantano al loro dio, il vento soffia.
Ogni volta che ti sentirai smarrita, confusa, pensa agli alberi, ricordati del loro modo di crescere. Ricordati che un albero con molta chioma e poche radici viene sradicato al primo colpo di vento, mentre in un albero con molte radici e poca chioma la linfa scorre a stento. Radici e chioma devono crescere in egual misura, devi stare nelle cose e starci sopra, solo così potrai offrire ombra e riparo, solo così alla stagione giusta potrai coprirti di fiori e frutti.
Le carezze, le espressioni di amore, sono necessarie alla vita affettiva come le foglie alla vita di un albero. Se sono interamente trattenuti, l'amore morirà alle radici.
Gli alberi sono liriche che la terra scrive sul cielo. Noi li abbattiamo e li trasformiamo in carta per potervi registrare, invece, la nostra vuotaggine.
Com'è bello questo piccolo paesaggio / Questi due scogli questi pochi alberi / e poi l'acqua e poi il fiume / com'è bello / Pochissimo rumore un po' di vento / e molta acqua / È un piccolo paesaggio di Bretagna / può stare nel palmo della mano / quando lo si guarda da lontano / Ma avvicinandosi / non si vede più nulla / si urta contro uno scoglio / o contro un albero / ci facciamo male è peccato / [...]
In Giappone ho piantato un albero della felicità in uno dei più grandi alberghi di Tokio. Ho fatto anche molta beneficenza, ma nessuno lo sa. Vorrei fare qualcosa anche in Italia, ma forse sono un personaggio scomodo e non mi permettono di fare molto.
Tre volte Randolph Carter sognò la meravigliosa città, e tre volte venne portato via mentre si trovava ancora sull'alta terrazza che la dominava.
Riluceva, dorata e splendida nel tramonto, con le sue mura, i templi, i colonnati e i ponti ad arco di marmo venato, mentre fontane d'argento zampillavano con un effetto prismatico su ampi piazzali e giardini odorosi, e larghe strade passavano tra alberi delicati, urne ornate di boccioli e statue d'avorio disposte in file lucenti. Su vertiginosi strapiombi, rivolte verso nord, si arrampicava invece una lunga serie di tetti rossi, e antichi frontoni aguzzi si susseguivano lungo stradine erbose coperte da ciottoli.
O quando tutte le notti - per pigrizia, per avarizia - ritornavo a sognare lo stesso sogno: una strada color cenere, piatta, che scorre con andamento di fiume fra due muri più alti della statura di un uomo; poi si rompe, strapiomba sul vuoto. Qui sporgendomi da una balconata di tufo, non trapela rumore o barlume, ma mi sorprende un ribrezzo di pozzo, e con esso l'estasi che solo un irrisorio pedaggio rimanga a separarmi... Da che? Non mi stancavo di domandarmelo, senza però che bastasse l'impazienza a svegliarmi; bensì in uno stato di sdoppiata vitalità, sempre più retratto entro le materne mucose delle lenzuola, e non per questo meno slegato ed elastico, cominciavo a calarmi di grotta in grotta, avendo per appiglio nient'altro che viluppi di malerba e schegge, fino al fondo dell'imbuto, dove, fra macerie di latomia, confusamente crescevano alberi (degli alberi non riuscivo a sognare che i nomi, ho imparato solo più tardi a incorporare nei nomi le forme).
Alberi,
foste frecce
dall'azzurro cadute?
Quali crudeli guerrieri vi scagliarono?
Furono le stelle?
Le vostre musiche vengono dall'anima degli uccelli,
dagli occhi di Dio,
dalla passione perfetta.
Alberi!
Riconosceranno le vostre radici
il mio cuore in terra?
L'albero m'è penetrato nelle mani,
La sua linfa m'è ascesa nelle braccia,
L'albero m'è cresciuto nel seno -
Profondo,
I rami spuntano da me come braccia.
Sei albero,
Sei muschio,
Sei violette trascorse dal vento -
Creatura - alta tanto - tu sei,
E tutto questo è follia al mondo.
Ciao, ragazzi: come va? Io COSMICO! Non ho mai creduto che lo scopo dell'educazione sia quello di preparare gli studenti ad affrontare le difficoltà della vita. Se così fosse, tanto varrebbe insegnargli a buttarsi da un elicottero privo di elica stabilizzatrice dentro il vagoncino in corsa di montagne russe ripidissime e sbullonate.
È il motivo per cui insegno a Palo Alto. A differenza di certe piaghe didattiche di mia conoscenza, l'Universo di Palo Alto è più di una semplice serie di palazzoni tristi racchiusi da una cancellata vanesia in un'area pedagogica che alberi perennemente autunnali deprimono. Palo Alto è spiaggia! Sole! Quaalude! Bikini! Ma questo non deve farvi pensare che manchi il divertimento.
Aprii gli occhi. Colonne di pietra spesse come alberi salivano nella penombra verso una volta spoglia. Aghi di luce polverosa cadevano in diagonale e lasciavano intravedere file interminabili di brande. Piccole gocce d'acqua si staccavano dall'alto come lacrime scure che esplodevano risuonando a terra. La penombra odorava di muffa e di umidità. - "Benvenuto in purgatorio"
Questa fraternità passiva, questo patire insieme, questa rassegnata, solidale, secolare pazienza è il profondo sentimento comune dei contadini, legame non religioso, ma naturale. Essi non hanno, né possono avere, quella che si usa chiamare coscienza politica, perché sono, in tutti i sensi del termine, pagani, non cittadini: gli dèi dello Stato e della città non possono aver culto fra queste argille, dove regna il lupo e l'antico, nero cinghiale, né alcun muro separa il mondo degli uomini da quello degli animali e degli spiriti, né le fronde degli alberi visibili dalle oscure radici sotterranee. Non possono avere neppure una vera coscienza individuale, dove tutto è legato da influenze reciproche, dove ogni cosa è un potere che agisce insensibilmente, dove non esistono limiti che non siano rotti da un influsso magico.