Vagabondavo solo come una nuvola | Che alta fluttua su valli e colline, | Quando a un tratto vidi una folla, | Una schiera di dorati narcisi | Lungo il lago e sotto gli alberi | Una miriade ne danzava nella brezza. | Fitti come le stelle che brillano | E sfavillano sulla Via Lattea, | Così si stendevano in una linea infinita | Lungo le rive di una baia. | Una miriade ne colse il mio sguardo | I fiori si lanciarono in una danza gioiosa | Lì presso danzavano le onde scintillanti, | Superate in letizia dai narcisi; | Un poeta non poteva che esser lieto | In così ridente compagnia. | Mirando e rimirando, pensai poco | Al bene che la vista mi recava: | Spesso quando me ne sto disteso, | Senza pensieri, o pensieroso, | Essi balenano al mio occhio interiore | Che rende la solitudine beata, | E allora il mio cuore si riempie di piacere, | e danzo con i narcisi.
In questa di valor sacra contrada | Alti onori t'avrai; che riverita | Pur de' nemici è qui la gloria, e schietti | Della tua faran fede i nostri petti. | Si dicendo scoprir le rilucenti | Còlte in Rosbacco cicatrici antiche, | E vivo scintillò negli occhi ardenti | Il pensier| delle belliche fatiche. | Parve l'inclita spada a quegli accenti | Abitarsi, e sentir che fra nemiche | Desire non cadde; parve di più pura | Luce ornarsi, e obbliar la sua sventura.
[Explicit]
Non è facile dire il cambiamento che operasti.
Se adesso sono viva, allora ero morta
anche se, come una pietra, non me ne curavo
e me ne stavo dov'ero per abitudine.
Tu non ti limitasti a spingermi un po' col piede, no-
e lasciare che rivolgessi il mio piccolo occhio nudo
di nuovo verso il cielo, senza speranza, è ovvio,
di comprendere l'azzurro, o le stelle.
Non fu questo. Diciamo che ho dormito: un serpente
mascherato da sasso nero tra i sassi neri
nel bianco iato dell'inverno-
come i miei vicini, senza trarre alcun piacere
dai milioni di guance perfettamente cesellate
che si posavano a ogni istante per sciogliere
la mia guancia di basalto. Si mutavano in lacrime,
angeli piangenti su nature spente,
Ma non mi convincevano. Quelle lacrime gelavano.
Ogni testa morta aveva una visiera di ghiaccio.
E io continuavo a dormire come un dito ripiegato.
La prima cosa che vidi fu l'aria, aria trasparente,
e le gocce prigioniere che si levavano in rugiada
limpide come spiriti. Tutt'intorno giacevano molte
pietre stolide e inespressive,
Io guardavo e non capivo.
Con un brillio di scaglie di mica, mi svolsi
per riversarmi fuori come un liquido
tra le zampe d'uccello e gli steli delle piante
Non m'ingannai. Ti riconobbi all'istante.
Albero e pietra scintillavano, senzombra.
La mia breve lunghezza diventò lucente come vetro.
Cominciai a germogliare come un rametto di marzo:
un braccio e una gamba, un braccio, una gamba.
Da pietra a nuvola, e così salii in lato.
Ora assomiglio a una specie di dio
e fluttuo per laria nella mia veste d'anima
pura come una lastra di ghiaccio. È un dono.
La loro vita è breve e il loro numero sterminato; sono loro i sommersi; loro la massa anonima, continuamente rinnovata e sempre identica, dei non-uomini che marciano e faticano in silenzio, spenta in loro la scintilla divina, già troppo vuoti per soffrire veramente. Si esita a chiamarli vivi: si esita a chiamar morte la loro morte, davanti a cui essi non temono perché sono troppo stanchi per comprenderla.
Che puro gioco di lampi sottili
consuma ogni diamante
d'impalpabile schiuma,
e quanta pace che sia nata sembra;
quando sopra l'abisso un sole posa,
opere schiette d'una causa eterna,
scintilla il tempo e il sogno è conoscenza.
La più piccola parola è circondata da acri ed acri di silenzio, e perfino quando riesco a fissare quella parola sulla pagina mi sembra della stessa natura di un miraggio, un granello di dubbio che scintilla nella sabbia.
Tutto passa. Le sofferenze, i tormenti, il sangue, la fame e la pestilenza. La spada sparirà, e le stelle invece rimarranno, quando anche le ombre dei nostri corpi e delle nostre azioni più non saranno sulla terra. Le stelle rimarranno allo stesso modo immutabili, allo stesso modo scintillanti e meravigliose. Non esiste uomo sulla terra che non lo sappia. Perché allora non vogliamo la pace? Perché non vogliamo rivolgere il nostro sguardo alle stelle? Perché?
Scintillava di luce e traboccava luce, riluceva e danzava e baluginava la Città, nelle notti, fino al mattino, e al mattino si spegneva, indossava il fumo e la nebbia.
Frasi sulle scintille
DiMichail Bulgakov
Dissecai una rana, la preparai e la collocai sopra una tavola sulla quale c'era una macchina elettrica, dal cui conduttore era completamente separata e collocata a non breve distanza; mentre uno dei miei assistenti toccava per caso leggermente con la punta di uno scalpello gli interni nervi crurali di questa rana, a un tratto furono visti contrarsi tutti i muscoli degli arti come se fossero stati presi dalle più veementi convulsioni tossiche. A un altro dei miei assistenti che mi era più vicino, mentre stavo tentando altre nuove esperienze elettriche, parve dì avvertire che il fenomeno succedesse proprio quando si faceva scoccare una scintilla dal conduttore della macchina. Ammirato dalle novità della cosa, subito avvertì me che ero completamente assorto e meco stesso d'altre cose ragionavo. Mi accese subito un incredibile desiderio di ripetere l'esperienza e di portare in luce ciò che di occulto c'era ancora nel fenomeno.
L'animo porta in sé i germi di tutte le virtù che,in seguito ad un consiglio, si ridestano, come a un lieve soffio,da una scintilla si sviluppa il fuoco.
Onore al lampo e alla scintilla | grande rispetto per la clorofilla | gloria al fotone e all'elettrone | viva l'idrogeno e il carbone | la fibra ottica e il silicio | viva l'istinto del sacrificio.
Sono diventato la persona che sono oggi all'età di dodici anni, in una gelida giornata invernale del 1975. Ricordo il momento preciso: ero accovacciato dietro un muro di argilla mezzo diroccato e sbirciavo di nascosto nel vicolo lungo il torrente ghiacciato. È stato tanto tempo fa. Ma non è vero, come dicono molti, che si può seppellire il passato. Il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente. Sono ventisei anni che sbircio di nascosto in quel vicolo deserto. Oggi me ne rendo conto. Nell'estate del 2001 mi telefonò dal Pakistan il mio amico Rahim Khan. Mi chiese di andarlo a trovare. In piedi in cucina, il ricevitore attaccato all'orecchio, sapevo che in linea non c'era solo Rahim Khan. C'era anche il mio passato di peccati non espiati. Dopo la telefonata andai a fare una passeggiata intorno al lago Spreckels. Il sole scintillava sull'acqua, dove dozzine di barche in miniatura navigavano sospinte da una brezza frizzante. In cielo due aquiloni rossi con lunghe code azzurre volavano sopra i mulini a vento, fianco a fianco, come occhi che osservassero dall'alto San Francisco, la mia città 'adozione. Improvvisamente sentii la voce di Hassan che mi sussurrava: Per te farei qualsiasi cosa. Hassan, il cacciatore di aquiloni.
Il migliore e più semplice simbolo del capitale è un vomere ben fatto. Ora, se tale vomere non facesse altro che generare altri vomeri, come una proliferazione di polipi, per quanto il grande grappolo di vomeri-polipi scintilli al sole, avrebbe perso la propria funzione di capitale.
L'immobilità per me evoca grandi spazi in cui si producono movimenti che non si arrestano, movimenti che non hanno fine. È, come diceva Kant, l'irruzione immediata dell'infinito nel finito. Un ciottolo, che è un oggetto finito e immobile, mi suggerisce non solo dei movimenti, ma movimenti infiniti che, nei miei quadri, si traducono in forme simili a scintille che erompono dalla cornice come da un vulcano.
Nell'oscurità invernale, l'araba tersa profondità azzurra da Baghdad dello struggente incantevole crepuscolo invernale di gennaio - mi spezzava sempre il cuore, una dolce stella lancinante in mezzo al turchino più magico del mondo, come pulsante d'amore - in quella notte vedevo i capelli neri di Maggie. - Nelle valve di Orione i veli dei suoi occhi, presi a prestito, scintillava un'oscura e fiera membrana d'una cupa potenza che covava ricchi monili della luna levatasi dalla nostra neve, e avvolgeva il mistero.
Viviamo per desiderare, e cosi farò anch'io, e balzerò giù da questa montagna sapendo tutto alla perfezione o non sapendo tutto alla perfezione pieno di splendida ignoranza in cerca di una scintilla altrove.
E così in America quando il sole tramonta e me ne sto seduto sul vecchio molo diroccato del fiume a guardare i lunghi lunghi cieli sopra il New jersey e sento tutta quella terra nuda che si srotola in un'unica incredibile enorme massa fino alla costa occidentale, e a tutta quella strada che corre, e a tutta quella gente che sogna nella sua immensità, e so che a quell'ora nello Iowa i bambini stanno piangendo nella terra in cui si lasciano piangere i bambini, e che stanotte spunteranno le stelle, e non sapete che Dio è Winnie Pooh?, e che la stella della sera sta tramontando e spargendo le sue fioche scintille sulla prateria proprio prima dell'arrivo della notte che benedice la terra, oscura tutti i fiumi, avvolge le vette e abbraccia le ultime spiagge, e che nessuno, nessuno sa cosa toccherà a nessun altro se non il desolato stillicidio della vecchiaia che avanza, allora penso a Dean Moriarty, penso perfino al vecchio Dean Moriarty padre che non abbiamo mai trovato, penso a Dean Moriarty.
Non tutto quel ch'è oro brilla, | Né gli erranti sono perduti; | Il vecchio ch'è forte non s'aggrinza, | Le radici profonde non gelano. | Dalle ceneri rinascerà un fuoco, | L'ombra sprigionerà una scintilla; | Nuova sarà la lama ora rotta, | E re quel ch'è senza corona.
[Il Signore degli Anelli, poesia di Bilbo Baggins su Aragorn]
Quindici minuti all'ora zero! L'astronave Atlas era pronta a decollare e la sua linea snella e brunita scintillava alla luce della Terra che rischiarava l'orizzonte lunare. La prua appuntita era rivolta verso lo spazio e la base poggiava sulla pomice morta della Luna: tutto intorno era il vuoto. L'astronave non aveva equipaggio, non un sol essere vivente.
Era circa mezzogiorno quando Petronio si destò. Come al solito si sentiva molto stanco. La sera prima aveva partecipato a un festino, dato da Nerone, che si era protratto fino a tarda notte. Da qualche tempo la sua salute era precaria, ed egli stesso ammetteva che la mattina, al momento del risveglio, si sentiva intorpidito e stentava alquanto a riordinare le idee. Ma il bagno mattutino e i sapienti massaggi che le mani esperte di schiavi addetti a tale ufficio gli praticavano in tutto il corpo, lentamente riattivavano il suo sangue pigro e lo rinvigorivano, ritemprando le sue forze. Dall' elaeothesium, cioè dall'ultimo reparto dei bagni. Petronio usciva come fosse rinato: appariva ringiovanito, pieno di vita, gli occhi scintillanti di letizia e di arguzia. Ed era così elegante, così irreprensibile nell'aspetto, che nemmeno Ottone avrebbe potuto rivaleggiare con lui: egli era un vero arbiter elegantiarum, come diceva Nerone.
[Henryk Sienkiewicz, Quo vadis?, a cura di Riccardo Mainardi, Aldo Garzanti Editore, 1973]
Ho preso ciò che mi avete dato (anche se non sapevate che stavo guardando) e l'ho passato attraverso il filtro della mia immaginazione, al solo scopo di restituirvelo, spero, con una certa chiarezza. Se volete usare al meglio questi bocconi e queste scintille delle vostre vite, vi esorto a tenere davanti allo specchio del fantastico le realtà qui ritratte. Le cose sembrano spesso più chiare nella luce argentea dello straordinario. Certi la chiamano magia.
Che cosa sarebbe la vita senza speranza? Una scintilla che sprizza dal carbone e si spegne; e come nella torbida stagione si ode una folata di vento, che spira un istante e poi va morendo, così sarebbe pure di noi!
Numi, il riscatto concedete a me | dei miei travagli, della guardia lunga | un anno già, ch'io vigilo sui tetti | degli Atridi, prostrato su le gomita | a mo' d'un cane. E de le stelle veggo | il notturno concilio, ed i signori | riscintillanti che nell'etra fulgono, | ed il verno e la state all'uomo recano. | Ed ora il segno aspetto della lampada, | del fuoco il raggio, che da Troia rechi | della presa città la fama e il grido.
Un ultimo sguardo ancora | Su di te, beneamato mare | Prima di un difficile addio | E se Dio vuole, di un arrivederci! | Per prendere congedo ho scelto | Una notte calma, un chiaro di luna | Ti stendi davanti a me, radioso | Scintillante, argentato, sei tu | Ma quando domani, sorti dalle dune | Ti abbracceranno i raggi del sole | A gran velocità, ad ali spiegate, | Sarò volata via, assai lontano | Il bianco stormo di gabbiani | Planerà per sempre sulle tue acque | E se all'appello ne manca uno | Come farai a saperlo?.