La filosofia e il sole si assomigliano, entrambi devono cacciare la notte la notte fisica e la notte della mente quella che fa vivere l'uomo annegato in un oceano di superstizione.
La superstizione è un'idea contaminata dall'emozione o dalla suggestione, un'ipotesi che produce timore, un timore che avvilisce e distrugge, inquantoché si crede sì che Dio esista, ma che sia ostile e dannoso. [...] È così, infatti, che alcuni, per salvarsi dalla superstizione, finiscono col cadere in un ateismo rigido ed ostinato, varcando d'un balzo la vera religiosità, che sta nel mezzo.
Esporsi al giudizio di una comunità è un atto nobile e umile, ma se la comunità è così fortemente dominata dalla menzogna e dalla superstizione, quanto vale il suo giudizio? Antigone ebbe il privilegio di ribellarsi alle leggi. Ma come ci si ribella all' illegalità?
Il problema è che, con il trascorrere delle generazioni, noi occidentali ci siamo convinti che il benessere e la tecnologia siano "naturali": ovvi come il sorgere del sole, gratuiti come lo scorrere dei fiumi. E su questa credenza, che è scientificamente assurda, irrazionale come la più arcaica delle superstizioni, si poggia tutto o quasi il nostro quotidiano, tutta o quasi la nostra politica. Siamo riusciti (scelleratamente) a rendere occulti i costi, i guasti, i rischi di uno sviluppo che poggia, invece, su un prelievo sempre più massiccio e scriteriato di risorse limitate.
La Chiesa, che per prima ha il compito di soddisfare questi bisogni [di conoscenza], oggi non può più contare, colla sua esigenza di assoluta dedizione ad una fede, gli animi dubbiosi. Perciò questi ricorrono spesso a surrogati alquanto sospetti e si gettano con entusiasmo in braccio a qualcuno dei numerosi profeti annunciatori di nuovi sicuri messaggi di salvazione. Stupisce il vedere quante persone proprio delle classi colte siano in tal modo capitate nell'orbita di queste nuove religioni, che sfavillano in tutte le sfumature, dalla mistica più astrusa fino alla più crassa superstizione.
Patrizio Moro-Lanza si sentiva da tre mesi così pienamente felice, che già cominciava a provare una superstiziosa paura, quasi presentisse che la sua cattiva sorte stesse in agguato a tramargli qualche crudele sorpresa. Gli pareva impossibile che la disdetta, da cui era stato perseguitato fin dalla fanciullezza, fosse ora cessata d'improvviso, appena entrata in casa di lui la bella e gentile persona divenuta da tre mesi la dolce compagna della sua vita. Avea notato, con grande meraviglia, che dal giorno del suo matrimonio tutto gli era riuscito bene. Fin le circostanze che da prima gli avevano prodotto un senso di stizza e di dispiacere, come l'improvviso traslocamento all'Agenzia delle Tasse di Marzallo e il vasto ex convento destinato da quel municipio per ufficio dell'Agenzia e per abitazione dell'Agente; fin queste circostanze si erano a un tratto mutate in favor suo e contribuivano a rendergli più deliziosa la cara solitudine della sua vita, fra la madre malaticcia sempre e sofferente e la giovane moglie che pareva gettasse attorno, per le malinconiche stanze della loro strana abitazione, sorridenti sprazzi di sole.
Non posso parlare per l'intero pianeta, ma di sicuro c'è un grande divario tra Nord e Sud del mondo. Povertà, ignoranza, pregiudizi, tradizioni patriarcali impediscono spesso ai Paesi del Terzo Mondo di far nascere una cultura della salute tra le loro donne. Pensiamo solo alle superstizioni ancora presenti in alcune zone dell'Africa dove credenze popolari e tabù non consentono all'altra metà del cielo di studiare o di farsi visitare da un medico uomo.
I processi storici sono creati e interrotti di continuo dall'iniziativa dell'uomo, da quell'"initium" che l'uomo è in quanto agisce. Di conseguenza, non è per nulla superstizioso, anzi è realistico cercare quel che non si può né prevedere né predire, esser pronti ad accogliere, aspettarsi dei "miracoli" in campo politico.
Io ho deliberato di lasciare un monumento di quello che oggi è la plebe di Roma. In lei sta certo un tipo di originalità: e la sua lingua, i suoi concetti, l'indole, il costume, gli usi, le pratiche, i lumi, la credenza, i pregiudizi, le superstizioni, tutto ciò insomma che la riguarda, ritiene un'impronta che assai per avventura si distingue da qualunque altro carattere di popolo. Né Roma è tale, che la plebe di lei non faccia parte di un gran tutto, di una città cioè di sempre solenne ricordanza.
[dall'Introduzione alla raccolta dei sonetti]
Stolti del mondo son stati quelli ch'han formata la religione, gli ceremoni, la legge, la fede, la regola di vita; gli maggiori asini del mondo (che son quei che, privi d'ogni altro senso e dottrina, e voti d'ogni vita e costume civile, marciti sono nella perpetua pedanteria) son quelli che per grazia del cielo riformano la temerata e corrotta fede, medicano le ferite de l'impiagata religione, e togliendo gli abusi de le superstizioni, risaldano le scissure della sua veste; non son quelli che con empia curiosità vanno, o pur mai andâro perseguitando gli arcani della natura, computâro le vicissitudini de le stelle.
I romanzi vivi sono quelli che colgono i cambiamenti nei livelli intellettuali, estetici, morali del mondo, le nuove sensibilità, le nuove problematiche, o che propongono un modello di questi nuovi livelli, o che stravolgono la superstizione della perenne identità della natura umana, o che propongono nuovi paradossi già ora, già qui, in questa specie di purgatorio della storia.
Venuta per rinnovare il mondo, fra i tanti mali che la rivoluzione francese voleva distruggere tirannide, superstizione, privilegi ereditari e di classe la guerra teneva uno dei primi posti.
In tutto quel periodo che fu la preparazione intellettuale della rivoluzione, dall'abate Saint-Pierre a Diderot, da Voltaire a Rousseau, i grandi pensatori, i poeti e gli economisti, nell'Enciclopedia e col teatro, col romanzo e colla satira, avevano gli uni stimmatizzato, gli altri anatomizzato la guerra, condannandola come la massima piaga e ad un tempo l'onta maggiore dell'Umanità, e causa principale del dispotismo dei re.
Non c'è bisogno che vi ricordi [discorso di Kien ai libri della sua biblioteca] in modo particolareggiato la storia antichissima e superba delle vostre sofferenze. Scelgo soltanto un esempio per mostrarvi in maniera persuasiva quanto vicini siano odio e amore. La storia d'un paese che tutti noi in egual misura veneriamo, di un paese in cui voi avete goduto delle più grandi attenzioni e dell'affetto più grande, di un paese in cui vi si è tributato persino quel culto divino che ben meritate, narra un orribile evento, un crimine di proporzioni mitiche, perpretato contro di voi da un sovrano diabolico per suggerimento di un consigliere ancor più diabolico. Nell'anno 213 avanti Cristo, per ordine dell'imperatore cinese Shi Hoang-ti − un brutale usurpatore che ebbe l'ardire di attribuire a se stesso il titolo di "Primo, Augusto, Divino" − vennero bruciati tutti i libri esistenti in Cina. Quel delinquente brutale e superstizioso era per parte sua troppo ignorante per valutare esattamente il significato dei libri sulla base dei quali veniva combattuto il suo tirannico dominio. Ma il suo primo ministro Li-Si, un uomo che doveva tutto ai propri libri, e dunque uno spregevole rinnegato, seppe indurlo, con un abile memoriale, a prendere questo inaudito provvedimento. Era considerato delitto capitale persino parlare dei classici della poesia e della storia cinese. La tradizione orale doveva venire estirpata a un tempo con quella scritta. Venne esclusa dalla confisca solo una piccola minoranza di libri; quali, potete facilmente immaginare: le opere di medicina, farmacopea, arte divinatoria, agricoltura e arboticoltura − cioè tutta una marmaglia di libri di puro interesse pratico. «Confesso che il puzzo di bruciato dei roghi di quei giorni giunge ancor oggi alle mie narici. A che giovò il fatto che tre anni più tardi a quel barbaro imperatore toccasse il destino che s'era meritato? Morì, è vero, ma ai libri morti prima di lui ciò non arrecò alcun giovamento. Erano bruciati e tali rimasero. Ma non voglio tacere quale fu, poco dopo la morte dell'imperatore, la fine del rinnegato Li-Si. Il successore al trono, che aveva ben capito la sua natura diabolica, lo destituì dalla carica di primo ministro dell'impero che egli aveva rivestito per più di trent'anni. Fu incatenato, gettato in prigione e condannato a ricevere mille bastonate. Non un colpo gli venne risparmiato. Fu costretto a confessare mediante la tortura i suoi delitti. Oltre all'assassinio di centinaia di migliaia di libri aveva infatti sulla coscienza anche altre atrocità. Il suo tentativo di ritrattare più tardi la propria confessione fallì. Venne segato in due sulla piazza del mercato della città di Hien-Yang, lentamente e nel senso della lunghezza, perché in questo modo il supplizio dura più a lungo; l'ultimo pensiero di questa belva assetata di sangue fu per la caccia. Oltre a ciò non si vergognò di scoppiare in lacrime. Tutta la sua stirpe, dai figli a un pronipote di appena sette giorni, sia donne che uomini, venne sterminata: tuttavia, invece di essere condannati al rogo, come sarebbe stato giusto, ottennero la grazia di venir passati a fil di spada. In Cina, il paese in cui la famiglia, il culto degli antenati, il ricordo delle singole persone sono tenuti così in gran conto, nessuna famiglia a mantenuto viva la memoria del massacratore Li-Si; solo la storia l'ha fatto, proprio quella storia che l'indegna canaglia, più tardi finita come ho detto, aveva voluto distruggere.
Tutto è ignoto: un enigma, un inesplicabile mistero. Dubbio, incertezza, sospensione del giudizio appaiono l'unico risultato della nostra più accurata indagine in proposito. Ma tale è la fragilità della ragione umana, e tale il contagio irresistibile delle opinioni, che non è facile tener fede neppure a questa posizione scettica, se non guardando più lontano e opponendo superstizione a superstizione, in singolar tenzone; intanto, mentre infuria il duello, ripariamoci felicemente nelle regioni della filosofia, oscure ma tranquille.
Così, in molti casi, i più grandi delitti appaiono compatibili con la pietà e con la devozione superstiziosa. Così pure appare scorretto trarre qualsiasi netta conclusione a favore della moralità di un uomo dal fervore o dalla assiduità delle sue pratiche religiose, anche se è in buona fede. Anzi, i delitti più terribili alimentano i terrori superstiziosi e il fanatismo religioso.
Gorgoni, Idre, Chimere e le orrende storie di Celeno e delle Arpie si possono ricreare nel cervello della superstizione: ma sono esistite prima. Sono trascrizioni di archetipi sono in noi, e che sono eterni Questi terrori non nascono col corpo, ma prima del corpo, e senza il corpo esisterebbero ugualmente Se potessimo spiegarli, sapremmo finalmente qualcosa sulla nostra condizione preumana, e uno spiraglio si aprirebbe sul fittissimo buio della preesistenza.
Deggio dirvi che nello scrivere [Dei delitti e delle pene] ebbi innanzi agli occhi gli esempi del Machiavelli, del Galileo e del Giannone; udiva lo strepito delle catene agitate dalla superstizione, e le grida del fanatismo che soffocava i gemiti della verità. L'immagine di questo terribile spettacolo mi ha persuaso ad avviluppare talora la luce nelle nubi. Ho voluto difendere l'umanità senza esserne il martire. L'idea che io doveva essere oscuro, m'ha pure renduto tale alcuna volta senza necessità.
[da una lettera all'abate Morellet]