Non è meraviglia, se tu disdegni finora di volgere benigno il tuo sguardo ai moderni popoli, e di favorire in quelle contaminate carte alcune poche verità avviluppate dal timore fra sensi oscuri ed ambigui, ed inorpellate dall'adulazione.
Si è detto che Hitler riversava sugli ebrei il suo odio contro l'intero genere umano, che riconosceva negli ebrei alcuni suoi stessi difetti, e che, odiando gli ebrei, odiava se stesso, che la violenza della sua avversione proveniva dal timore di poter avere sangue ebreo nelle vene. Non mi sembra una spiegazione adeguata. Non mi sembra lecito spiegare un fenomeno storico, riversandone tutta la colpa su un individuo. Gli esecutori di ordini orrendi non sono innocenti. E inoltre è sempre arduo interpretare le motivazioni profonde di un individuo.
[Numa Pompilio], poiché l'indole dei Romani (da sempre tenuta a freno dal timore dei nemici) una volta venuti meno essi, non si corrompesse nell'ozio, pensò bene di introdurre un grande timore verso gli dèi: era il metodo più efficace per gente ignorante e, dati i tempi, rozza.
Ogni tempo ha il suo fascismo: se ne notano i segni premonitori dovunque la concentrazione di potere nega al cittadino la possibilità e la capacità di esprimere ed attuare la sua volontà. A questo si arriva in molti modi, non necessariamente col timore dell'intimidazione poliziesca, ma anche negando o distorcendo l'informazione, inquinando la giustizia, paralizzando la scuola, diffondendo in molti modi sottili la nostalgia per un mondo in cui regnava sovrano l'ordine, ed in cui la sicurezza dei pochi privilegiati riposava sul lavoro forzato e sul silenzio forzato dei molti.
La superstizione è un'idea contaminata dall'emozione o dalla suggestione, un'ipotesi che produce timore, un timore che avvilisce e distrugge, inquantoché si crede sì che Dio esista, ma che sia ostile e dannoso. [...] È così, infatti, che alcuni, per salvarsi dalla superstizione, finiscono col cadere in un ateismo rigido ed ostinato, varcando d'un balzo la vera religiosità, che sta nel mezzo.
Solamente quando ci sentiamo sotto i piedi il saldo terreno dell'esperienza della vita reale ci è lecito darci senza timore ad una concezione del mondo fondata sulla fede in un'ordine razionale dell'universo.
Diverrò povero? Sarò con la maggioranza degli uomini. Andrò in esilio? Penserò di essere nato là, dove mi manderanno. Sarò messo in catene? E che? Sono orse ora veramente libero? La natura mi ha già legato a questo grave peso del corpo. Morirò? Porrò cosi fine dirai tu alla possibilità di cadere ammalato, di esser messo in catene, di morire... Moriamo ogni giorno: ogni giorno, infatti, ci è tolta una parte della vita; anche quando il nostro organismo cresce, la vita decresce. Abbiamo perduto l'infanzia, poi la fanciullezza, poi la gioventù. Tutto il tempo passato fino a ieri è morto per noi: questo stesso giorno che stiamo vivendo la dividiamo con la morte. Come non vuota la clessidra l'ultima goccia, ma tutte quelle che sono già cadute, così l'ultima ora in cui cessiamo di esistere non produce, da sola, la morte, ma la compie; [...] "Non viene una sola volta la morte; quella che ci rapisce è solo l'ultima morte". [...] questa morte che tanto temiamo è l'ultima, non la sola. [...] la follia umana, è così grande, che alcuni sono spinti alla morte proprio dal timore della morte. [...] "Fino a quando sempre le stesse cose? Svegliarsi e andare a dormire, mangiare ed aver fame, aver freddo e soffrire il caldo? Nessuna cosa finisce, ma tutte sono collegate in uno stesso giro: si fuggono e si inseguono. Il giorno è cacciato dalla notte, la notte dal giorno; l'estate ha fine con l'autunno, questo è incalzato dall'inverno, che a sua volta è chiuso dalla primavera: così tutto passa per tornare. Non faccio né vedo mai niente di nuovo. Ad un certo punto, di tutto questo si prova la nausea". Per molti la vita non è una cosa penosa, ma inutile.
Il futuro è molto aperto, e dipende da noi, da noi tutti. Dipende da ciò che voi e io e molti altri uomini fanno e faranno, oggi, domani e dopodomani. E quello che noi facciamo e faremo dipende a sua volta dal nostro pensiero e dai nostri desideri, dalle nostre speranze e dai nostri timori. Dipende da come vediamo il mondo e da come valutiamo le possibilità del futuro che sono aperte.
Chi può calcolare quanto perde il mondo con la moltitudine di intelletti promettenti ma uniti a caratteri deboli che non osano sviluppare alcuna linea di pensiero audace, vigorosa, indipendente, per timore di ritrovarsi con qualcosa che potrebbe venire considerato irreligioso o immorale?
Si dicono parole che lasciano dietro conseguenze e significati. Si fanno gesti che possono ferire, per volontà espressa o per leggerezza. O per il semplice timore di essere feriti.
Non sarebbe possibile dissolvere ogni timore intorno alle cose di maggior importanza se non si sapesse quale sia la natura dell'universo, ma si vivesse in sospettoso timore delle cose che ci raccontano i miti; non sarebbe possibile cogliere i piaceri nella loro purezza senza la scienza della natura.
Molte persone vivono nel timore che possano subire qualche esperienza traumatica. I freaks sono nati con il loro trauma. Hanno già superato il loro test, nella vita. Sono degli aristocratici.
Arrivai a Los Angeles poco più che ventenne. Avevo già vissuto a Milano e a New York, dove era andata a studiare danza. Quasi subito ottenni una parte in "Two Days in the Valley". Dovevo guidare l'auto lungo il Sunset. Per me quel viale era leggendario, ma anche spaventoso. Avevo sempre timore di attraversare le sue immense carreggiate. Comunque allepoca io non sapevo quanto sarei rimasta a Hollywood: oggi è la mia casa e di Los Angeles amo molte cose. E a dire la verità ne detesto molte altre.
Dopo che l'esperienza mi ebbe insegnato che tutto ciò che accade nella vita comune è vano e futile, e vedendo che tutto ciò che era per me causa e oggetto di timore non aveva in sé nulla né di bene né di male, se non in quanto l'animo ne fosse turbato, decisi finalmente di indagare se si desse qualcosa che fosse un bene vero e partecipabile, dal quale soltanto, respinti tutti gli altri beni, l'animo fosse affetto; soprattutto se si desse qualche bene che, trovato e acquisito, godessi in eterno di una continua e somma letizia.
Non è il potere che corrompe, ma la paura. Il timore di perdere il potere corrompe chi lo detiene e la paura del castigo del potere corrompe chi ne è soggetto.
Così, per questo libro, io avrei scelto quattro epigrafi. Giusto per segnare i bordi del campo da gioco. Ecco la prima: viene da un bellissimo libro uscito da poco in Italia. L'ha scritto Wolfgang Schivelbush ed è intitolato La cultura dei vinti. (Sono titoli a cui, essendo tifoso del Toro, non posso resistere). Ecco cosa dice a un certo punto: "Il timore di essere sopraffatti e distrutti da orde barbariche è vecchio come la storia della civiltà. Immagini di desertificazione, di giardini saccheggiati da nomadi e di palazzi in sfacelo nei quali pascolano le greggi sono ricorrenti nella letteratura della decadenza dall'antichità fino ai giorni nostri." Copiate e mettete da parte.
La società descritta in 1984 è una società controllata quasi esclusivamente dal castigo e dal timore di esso. Nel mondo immaginario della mia favola il castigo è raro e di solito mite.
La semplicità è mettersi nudi davanti agli altri... E noi abbiamo tanta difficoltà ad essere veri con gli altri. Abbiamo timore di essere fraintesi, di apparire fragili, di finire alla mercé di chi ci sta di fronte. Non ci esponiamo mai. Perché ci manca la forza di essere uomini, quella che ci fa accettare i nostri limiti, che ce li fa comprendere, dandogli senso e trasformandoli in energia, in forza appunto. Io amo la semplicità che si accompagna con lumiltà. Mi piacciono i barboni. Mi piace la gente che sa ascoltare il vento sulla propria pelle, sentire gli odori delle cose, catturarne lanima. Quelli che hanno la carne a contatto con la carne del mondo. Perché lì cè verità, lì cè dolcezza, lì cè sensibilità, lì cè ancora amore.