Eran le sei del pomeriggio, un giorno
chiaro festivo. Dietro al Faro, in quelle
parti ove s'ode beatamente il suono
d'una squilla, la voce d'un fanciullo
che gioca in pace intorno alle carcasse
di vecchie navi, presso all'ampio mare
solo seduto; io giunsi, se non erro,
a un culmine del mio dolore umano.
Tra i sassi che prendevo per lanciare
nell'onda (ed una galleggiante trave
era il bersaglio), un coccio ho rinvenuto,
un bel coccio marrone, un tempo gaia
utile forma nella cucinetta,
con le finestre aperte al sole e al verde
della collina. E fino a questo un uomo
può assomigliarsi, angosciosamente.
Passò una barca con la vela gialla,
che di giallo tingeva il mare sotto;
e il silenzio era estremo. Io della morte
non desiderio provai, ma vergogna
di non averla ancora unica eletta,
d'amare più di lei io qualche cosa
che sulla superficie della terra
si muove, e illude col soave viso.
Il mare a perdita di vista, senza una terra all'orizzonte, sotto la cappa affocata del cielo, appariva nero come l'inchiostro, e di una lucentezza funebre; una quantità sterminata di blatte, tanto fitte da non lasciar occhieggiare l'acqua di sotto, lo copriva per tutta la sua distesa. Nel gran silenzio s'udiva distintamente il rumore dei loro gusci urtati dalla prua. Lentamente, a fatica, la nave poteva avanzare, e subito le blatte si richiudevano sul suo passaggio.
Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti | arrivederci fratello mare | mi porto un po' della tua ghiaia | un po' del tuo sale azzurro | un po' della tua infinità | e un pochino della tua luce | e della tua infelicità. | Ci hai saputo dir molte cose | sul tuo destino di mare | eccoci con un po' più di speranza | eccoci con un po' più di saggezza | e ce ne andiamo come siamo venuti | arrivederci fratello mare.
Mi sono preso una cotta formidabile. Fra fuochi e chitarre, in riva al mare e dentro un sacco a pelo. Perché tutti, una volta nella vita, abbiamo diritto di credere che le canzoni dell'estate siano state scritte apposta per noi.
Ci vorrebbe un mare dove naufragare come quelle strane storie di delfini che vanno a riva per morir vicini e non si sa perché... come vorrei fare ancora, amore mio, con te.
Ridiamo come le montagne non appena gli voltiamo le spalle, ogni volta che sono sicure che nessuno le veda. Come il mare che si ostinano a chiamare furioso mentre le tempeste non sono che i suoi sghignazzi. Come le nuvole che se piangono pioggia è solo per il gran ridere. Come il vento che non fa che sganasciarsi e soffia soltanto perché deve riposare il respiro.
Come la profondità del mare che resta sempre immobile per quanto agitata ne sia la superficie, l'espressione delle figure greche, per quanto agitate da passioni, mostra sempre un'anima grande e posata.
Il mare, una volta lanciato il suo incantesimo, ti terrà per sempre nella sua aura di meraviglia.
[The sea, once it casts its spell, holds one in its net of wonder forever]
Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa - non importa quanti esattamente - avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m'interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. È un modo che ho io di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione. Ogni volta che m'accorgo di atteggiare le labbra al torvo, ogni volta che nell'anima mi scende come un novembre umido e piovigginoso, ogni volta che mi accorgo di fermarmi involontariamente dinanzi alle agenzie di pompe funebri e di andar dietro a tutti i funerali che incontro, e specialmente ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me che mi occorre un robusto principio morale per impedirmi di scendere risoluto in istrada e gettare metodicamente per terra il cappello alla gente, allora decido che è tempo di mettermi in mare al più presto.
In mezzo al mare l'acqua è azzurra come i petali dei più bei fiordalisi e trasparente come il cristallo più puro; ma è molto profonda, così profonda che un'anfora non potrebbe raggiungere il fondo; bisognerebbe mettere molti campanili, uno sull'altro, per arrivare dal fondo fino alla superficie. Laggiù abitano le genti del mare.
Raggiungemmo Napoli, proprio mentre il Vesuvio era in piena attività: la lava scendeva dal monte oscuro, tracciando radici di fuoco al pino di fumo. Andai a vedere l'eruzione con Hertz e qualche altro scandinavo: la strada sale tra i vigneti e oltrepassa edifici isolati. Ben presto la vegetazione diede luogo ad arboscelli non più grandi di giunchi, e il crepuscolo era una meraviglia per gli occhi.
La patria è la fede nella patria. Dio che creandola sorrise sovr'essa, le assegnò per confine le due più sublimi cose ch'ei ponesse in Europa, simboli dell'eterna forza e dell'eterno moto, l'Alpi e il mare. Dalla cerchia immensa dell'Alpi, simile alla colonna di vertebre che costituisce l'unità della forma umana, scende una catena mirabile di continue giogaie che si stende sin dove il mare la bagna e più oltre nella divelta Sicilia. E il mare la ricinge quasi d'abbraccio amoroso ovunque l'Alpi non la ricingono: quel mare che i padri dei padri chiamarono Mare Nostro. E come gemme cadute dal suo diadema stanno disseminate intorno ad essa in quel mare Corsica, Sardegna, Sicilia, ed altre minori isole dove natura di suolo e ossatura di monti e lingua e palpito d'anime parlan d'Italia.