Un picchiettare sommesso sui vetri lo fece voltare verso la finestra: aveva ricominciato a nevicare. Osservò assonnato i fiocchi neri e argentei che cadevano obliqui contro il lampione. Era giunto il momento di mettersi in viaggio verso occidente. Sì, i giornali dicevano il vero: c'era neve dappertutto in Irlanda. Cadeva ovunque nella buia pianura centrale, sulle nude colline; cadeva soffice sulla palude di Allen e più a ovest sulle nere, tumultuose onde dello Shannon. Cadeva in ogni canto del cimitero deserto, lassù sulla collina dove era sepolto Michael Fury. S'ammucchiava alta sulle croci contorte, sulle pietre tombali, sulle punte del cancello, sugli spogli roveti. E la sua anima gli svanì adagio adagio nel sonno mentre udiva lieve cadere la neve sull'universo, e cadere lieve come la discesa della loro estrema fine sui vivi e sui morti.
Nella sua camera, nella febbricitante bianca luce artificiale, nella camera cosparsa di carta e libri, scrive alla sua scrivania, scrive a Peter e a Penn, e la pioggia picchietta sul vetro della finestra, la pioggia imperla il vetro della sua finestra e rotola via dolcemente come lacrime.
Il posto era scuro, polveroso e perso
Negli intrichi di Antichi vicoli intorno al porto,
Odorosi di strane cose portate dagli oceani
E annebbiati da volute di foschia spinte dai venti occidentali,
Piccoli vetri a losanghe, oscurati dal fumo e dal ghiaccio,
Mostravano solo i libri, ammassati come alberi contorti.
E chi mi impenna, e chi mi scalda il core? | Chi non mi fa temer fortuna o morte? | Chi le catene ruppe e quelle porte, | Onde rari son sciolti ed escon fore? | L'etadi, gli anni, i mesi, i giorni e l'ore | Figlie ed armi del tempo, e quella corte | A cui né ferro, né diamante è forte, | Assicurato m'han dal suo furore. | Quindi l'ali sicure a l'aria porgo; | Né temo intoppo di cristallo o vetro, | Ma fendo i cieli e a l'infinito m'ergo. | E mentre dal mio globo a gli altri sorgo, | E per l'eterio campo oltre penetro: | Quel ch'altri lungi vede, lascio al tergo.
Non è il cemento, non è il legno, non è la pietra, non è l'acciaio, non è il vetro l'elemento più resistente. Il materiale più resistente nell'edilizia è l'arte.
Gli albanesi sono così poveri che lavano i vetri delle auto ai marocchini. Solo che, siccome in Albania non ci sono i semafori, gli corrono dietro fino in Jugoslavia.
Dovevo avere sei anni, quando vissi intensamente un'immaginaria amicizia con una bambina della mia età più o meno. Sulla vetrata di quella che allora era la mia stanza, e che dava su Calle Allende, su uno dei primi vetri della finestra – ci alitavo sopra. E con un dito disegnavo una "porta". Per questa "porta" uscivo nella mia immaginazione, con grande gioia e in fretta, attraverso tutto lo spazio che si vedeva, fino a raggiungere una latteria di nome "Pinzón"... Attraverso la "O" di Pinzón entravo e scendevo fuori dal tempo nelle viscere della terra, dove la mia "amica immaginaria" mi aspettava sempre.
Ma il tempo, il tempo, chi me lo rende? Chi mi da indietro quelle stagioni di vetro e sabbia, chi mi riprende, la rabbia, il gesto, donne e canzoni? Gli amici persi, i libri mangiati, la gioia piana degli appetiti, l'arsura sana degli assetati, la fede cieca in poveri miti?
Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro dorto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.
Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
chora si rompono ed ora sintrecciano
a sommo di minuscole biche.
Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
comè tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
L'idea di una poesia "europea musicale e colorita" era stata in Campana, oltre che istinto, un fatto di cultura; ma certo era stata accompagnata o preceduta, in lui, da una pratica ancora un po' inerte e passiva dei nuovi ismi trovati in aria. Anche il futurismo ufficiale aveva preteso, come già i novatori di fine secolo, di "rompere i vetri", di rinnovare l'aria. Campana s'era però scelto maestri più fini di quelli seguiti dai suoi provvisori iniziatori. Ripudiò d'istinto la parte più meccanica, più elencativa del liberismo di moda; andò, si può affermarlo anche con sicurezza di fatto, verso le sorgenti più certe di quel movimento, da Whitman a Rimbaud. Riportò per conto suo, nell'arte e nella vita, un fatto di stile a un fatto di coscienza e fu consapevole di rappresentare, nel suo tempo e nel suo ambiente, una voce nuova, diversa.
Questo potrebbe sembrare un po' strano ma te lo dico, ho trovato quella giacca che hai lasciato al mio matrimonio. L'ho presa e ne ho sentito il profumo, l'ho avvolta nella plastica fino a che l'ho messa in un vetro, l'ho appesa in corridoio così potrò sempre guardarla.
Lo so come ti senti. È come essere dietro un vetro, non puoi toccare niente di quello che vedi. Ho passato tre quarti della mia vita chiuso fuori, finché ho capito che l'unico modo è romperlo. E se hai paura di farti male, prova a immaginarti di essere già vecchio e quasi morto, pieno di rimpianti.
In quel grande silenzio dove arriva | l'alba dai porti delle nebbie, ai vetri | d'una casa straniera, io parlerò | della vita perduta come un sogno | e tu m'ascolterai dentro al tuo freddo | chiudendo gli occhi a poco a poco, azzurra.
Tutte le bocce di cristallo che avrai rotto, erano solo vita... non sono quelli gli errori... quella è vita... e la vita vera magari è proprio quella che si spacca... il mondo è pieno di gente che gira con in tasca le sue piccole biglie di vetro... le sue piccole tristi biglie infrangibili... e allora tu non smetterla mai di soffiare nelle tue sfere di cristallo.