Chi non dice nulla fa fronte a tutto. Una parola che vi sfugga, presa nell'ingranaggio sconosciuto, può trascinarvi interamente sotto non si sa quali ruote.
Nell'universo della Torre, il fato sapeva essere misericordioso come l'accendino che gli aveva salvato la vita e doloroso come il fuoco che il miracolo aveva acceso. Come le ruote del treno in arrivo, seguiva un corso di logica spietata e travolgente brutalità, un corso contro il quale si potevano opporre solo l'acciaio e la dolcezza.
La giornata era torrida. Tremule onde di calore salivano dalla strada, per svanire poi nel catrame che scorreva dolcemente, frusciando, sotto le ruote della macchina. Il sole estivo inondava le fattorie sulla collina, le distese verde scuro cosparse di arbusti e di alti pini, i cedri svettanti, l'alloro più tenero, i pioppi.
Ted e Peggy Barton si allontanavano rapidamente da Patrick County. Erano vicini al confine di Carroll e al massiccio di Beaver Knob. La strada era in pessime condizioni. La Packard gialla tossiva e ansimava, arrampicandosi sulle ripide colline della Virginia.
In quel vaporetto c'era tal folla che non poteva muovermi, e i parenti e gli amici si accalcavano intorno ai viaggiatori, stringendoli per le mani, accarezzandoli, piangendo con essi. Quante passioni, quante speranze, quanti dolori si espandevano senza riguardi in mezzo all'andare e al venire dei marinai avvinazzati dall'orgia notturna, e le parole d'amore, e i sospiri si perdevano fra il fracasso dei bauli, delle casse, fra lo strepito del vapore, che insensibile a tanta poesia, buttava fuori i suoi buffi regolari di fumo nero e di fumo bianco e insensibile a tanto strazio incomposto di sentimenti umani, faceva girare le sue ruote con matematica regolarità.
Ho iniziato a esibirmi a sei anni in un balletto acrobatico con mia cugina e da allora non ho mai abbandonato il circo e la vita nomade. Oggi non mi esibisco più, se non nei saluti finali. Potrei starmene tranquilla nella mia villa a San Donà di Piave, ma adoro vivere sulle ruote e poi la mia carovana è lunga ventiquattro metri e larga otto, è come una casa!
Dalle quattro del pomeriggio la luce cominciava ad ardere nelle finestre delle case, in tondi globi elettrici, nei lampioni a gas, nei fanali delle case con i numeri illuminati, e nelle vetrate a tutta parete delle centrali elettriche, che evocavano il pensiero del futuro elettrico dell'umanità, terribile ed irrequieto, con le loro finestre a tutta parete dove si vedevano le ruote scatenate delle macchine che giravano senza posa, squassando fino alle radici le fondamenta stesse della terra.
Alcun non può saper da chi sia amato | Quando felice in su la ruota siede; | Però c'ha i veri e i finti amici a lato, | Che mostran tutti una medesma fede. | Se poi si cangia in tristo il lieto stato, | Volta la turba adulatrice il piede; | E quel che di cor ama, riman forte, | Et ama il suo Signor dopo la morte. [XIX, 1]
Di tutte le classi che oggi stanno di fronte alla borghesia, solo il proletariato è una classe veramente rivoluzionaria. [...] I ceti medi, il piccolo industriale, il piccolo negoziante, l'artigiano, il contadino [...] Non sono dunque rivoluzionari, ma conservatori. Ancora più, essi sono reazionari, essi tentano di far girare all'indietro la ruota della storia.
Una volta in Inghilterra la condanna ai lavori forzati veniva applicata appendendo il condannato al disopra di una ruota azionata a forza d'acqua, obbligando così la vittima a muovere in un certo ritmo le gambe che altrimenti gli sarebbero state sfracellate. Quando si lavora si ha sempre il senso di una costrizione di quel genere.
Eran le cinque in punto della sera.
Un bambino portò il lenzuolo bianco
alle cinque della sera.
Una sporta di calce già pronta
alle cinque della sera.
Il resto era morte e solo morte
alle cinque della sera.
Il vento portò via i cotoni
alle cinque della sera.
E l'ossido seminò cristallo e nichel
alle cinque della sera.
Già combatton la colomba e il leopardo
alle cinque della sera.
E una coscia con un corno desolato
alle cinque della sera.
Cominciarono i suoni di bordone
alle cinque della sera.
Le campane d'arsenico e il fumo
alle cinque della sera.
Negli angoli gruppi di silenzio
alle cinque della sera.
Solo il toro ha il cuore in alto!
alle cinque della sera.
Quando venne il sudore di neve
alle cinque della sera.
quando l'arena si coperse di iodio
alle cinque della sera.
la morte pose le uova nella ferita
alle cinque della sera.
Alle cinque della sera.
Alle cinque in punto della sera.
Una bara con ruote è il letto
alle cinque della sera.
Ossa e flauti suonano nelle sue orecchie
alle cinque della sera.
Il toro già mugghiava dalla fronte
alle cinque della sera.
La stanza s'iridava d'agonia
alle cinque della sera.
Da lontano già viene la cancrena
alle cinque della sera.
Tromba di giglio per i verdi inguini
alle cinque della sera.
Le ferite bruciavan come soli
alle cinque della sera.
E la folla rompeva le finestre
alle cinque della sera.
Alle cinque della sera.
Ah, che terribili cinque della sera!
Eran le cinque a tutti gli orologi!
Eran le cinque in ombra della sera!
Mi piacciono le cose difficili a scriversi e difficili a capirsi; mi piace "controbilanciare i contrari" con immagini segrete; mi piace contraddire le mie immagini dicendo due cose alla volta con una sola parola, quattro con due e una con sei. Ma quel che mi piace non è una teoria, anche se do stabilità con il dogma alle mie preferenze personali. La poesia, pesante nella tara anche se agile, dovrebbe essere orgiastica e organica come una copulazione, dividendo e unificando, personale ma non privata, propagando l'individuo nella massa e la massa nell'individuo. Secondo me dovrebbe agire dalle parole, dalla sostanza delle parole e dal ritmo delle parole sostanziali messe insieme, e non verso le parole. La poesia è un mezzo, non una stimmate sulla carta. Gli uomini dovrebbero essere forniti di due arnesi e la gamba di mezzo di un poeta è la sua matita. Se la sua fallica matita si trasforma in un trapano elettrico, spezzando il catrame e il cemento del linguaggio assottigliato dalle gomme del triciclo dei poeti della natura e dalle pesanti sei ruote dei Sir accademici, tanto meglio; ed è il lavoro che conta, il genio essendo così spesso una capacità di dolorose sofferenze.
Un frate di nome Celestino si era fatto eremita ed era andato a vivere nel cuore della metropoli dove massima è la solitudine dei cuori e più forte è la tentazione di Dio. [...] ancora più potente è il deserto delle città fatto di moltitudini, di strepiti, di ruote, di asfalto, di luci elettriche, e di orologi che vanno tutti insieme e pronunciano tutti nello stesso istante la medesima condanna.