L'accorto Prometéo, l'inclito figlio | A cantar di Giapeto il cor mi sprona, | E quantji sopportò travagli e pene | Per amor de' mortali, e qual raccolse | Di largo beneficio empia mercede, | Se la Diva, cui tutta a parte a parte | La peregrina istoria è manifesta, | Del suo favor m'aita, e non ricusa | Sovra italico labbro alcuna stilla | D'antica derivar greca dolcezza.
Di' che saggio ognorsarò, | Di' che al cespo tornerò, | E corrò... Ma posto il dito | Su le labbra, il dir sostenne, | E disparve. Allor mi venne | Nella mente'appien chiarito | Che a Virtude Amor tien fede | Più che il volgo non si crede.
[Explicit]
Frasi sulle labbra
DiVincenzo Monti
Ma che? le gote esprìmono | L'ardor che il labbro occulta, | Né molto andrà l'ingiuria | Di quel silenzio inulta. | Tirsi ed Amor congiurano | Ambo d'accordo; e Pille | Taccia, se vuol: parlarono | Assai le sue pupille.
[Explicit]
Frasi sulle labbra
DiVincenzo Monti
Oh Delo ! oh culla | Del signor delle Muse e della luce, | Salve! Né mai con sanguinoso piede | Ti giunga Marte a calpestar, né mai | S'acquisii Pluto in te ragione alcuna. | Salve, o terra beata, e sempre suoni | Sul labbro de'poeti il tuo bel nome.
[Canto III]
Frasi sulle labbra
DiVincenzo Monti
[A proposito di Benito Mussolini] Labbra diritte, mandibole prominenti, mento quadrato, è il suo volto fisso, volontario, diciamo classico.
Non chiamo infatti orazione quella di colui che non considera con chi parla, chi è che parla, cosa domanda e a chi domanda, benché muova molto le labbra.
Frasi sulle labbra
Anna che in bianco drappo si avvolge e abbandona | i dormenti capelli sugli occhi male aperti, | contempla le sue braccia mollemente adagiate | sulla pelle incolore del ventre discoperto. || Ella vuota, ella riempie d'ombra il suo petto lento, | e come un ricordo che preme le sue carni, | una bocca spezzata e piena d'acqua ardente | svolge il sapore immenso ed il riflesso dei mari. || Alfine in abbandono, libera d'esser nuova, | l'addormentata sola dall'ombre colorate | fluttua sul grigio letto e con un labbro riarso | nella tenebra sugge un soffio amaro di fiore. || E sul lenzuolo dove increspa l'alba insensibile, | cade, d'un braccio gelido sfiorato di carminio, | la rilassata mano cui sfugge la delizia | tra le sue dita ignude spogliate dall'umano. (da Anna)
A me Renato Zero non piace per niente. Non mi dice niente. Non ha una grossa personalità: è un goliardico che ha indovinato una sola canzone: «Triangolo», le altre sono tutte canzoni mediocri. Anche fisicamente non mi colpisce. Ha le labbra sottili, lo trovo antipatichino. Del resto è uno che fa delle «cosine», scrive delle «canzoncine», ha interpretato un «filmino», tutto in tono minore. Chiunque si truccasse come lui. si mettesse i brillantini in faccia e in testa, ostentasse la sua ambiguità, potrebbe essere un Renato Zero. Onestamente non capisco il successo di Renato Zero come cantante.
La poesia è, fra le scienze, la giovinezza. Da fanciulla avrà avuto l'aspetto dell'angelo sotto la Madonna il quale si preme il dito sulle labbra come a dire che non si fida di questa leggerezza.
In don Gallo si è compiuto il miracolo dell'ubiquità: lui è stato radicalmente cristiano e anche irriducibilmente cattolico, ma potrebbe anche essere ricordato come uno tzaddik chassidico, così come è stato un militante antifascista ed un laicissimo libero pensatore. Per me il Gallo resta un fratello, un amico, una guida certa, un imprescindibile e costante riferimento. Per me personalmente, la speranza tiene fra le labbra un immancabile sigaro e ha il volto scanzonato di questo prete ribelle.
Diedi l'ordine. Fra il profondo silenzio, la pesante lastra si sollevò. La luce brillò nel sarcofago. Ci sfuggì dalle labbra un grido di meraviglia, tanto splendida era la vista che si presentò ai nostri occhi: l'effige d'oro del giovane re fanciullo.
Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa - non importa quanti esattamente - avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m'interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. È un modo che ho io di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione. Ogni volta che m'accorgo di atteggiare le labbra al torvo, ogni volta che nell'anima mi scende come un novembre umido e piovigginoso, ogni volta che mi accorgo di fermarmi involontariamente dinanzi alle agenzie di pompe funebri e di andar dietro a tutti i funerali che incontro, e specialmente ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me che mi occorre un robusto principio morale per impedirmi di scendere risoluto in istrada e gettare metodicamente per terra il cappello alla gente, allora decido che è tempo di mettermi in mare al più presto.
Il mio pezzo forte, in quello spettacolo, era nel secondo atto, in cui facevo Napoleone Bonaparte. Inutile dire che ero fantastico. Il mio costume consisteva in una divisa da generale francese, con spada, stivali, cappello a lucerna, e baffoni neri dipinti sopra il labbro. Devo ammettere che non somigliavo molto al Napoleone originale, ma tenete presente che io facevo per scherzo, e chissà, se lui avesse fatto altrettanto forse non sarebbe finito così male.
[I libri] Ora questi, ora quelli io interrogo, ed essi mi rispondono, e per me cantano e parlano; e chi mi svela i segreti della natura, chi mi dà ottimi consigli per la vita e per la morte, chi narra le sue e le altrui chiare imprese, richiamandomi alla mente le antiche età. E v'è chi con festose parole allontana da me la tristezza e scherzando riconduce il riso sulle mie labbra; altri m'insegnano a sopportar tutto, a non desiderar nulla, a conoscer me stesso, maestri di pace, di guerra, d'agricoltura, d'eloquenza, di navigazione; essi mi sollevano quando sono abbattuto dalla sventura, mi frenano quando insuperbisco nella felicità, e mi ricordano che tutto ha un fine, che i giorni corron veloci e che la vita fugge. E di tanti doni, piccolo è il premio che mi chiedono: di aver libero accesso alla mia casa e di viver con me, dacché la nemica fortuna ha lasciato loro nel mondo rari rifugi e pochi e pavidi amici. (da Rime, trionfi, e poesie latine, a cura di Ferdinando Neri, Ricciardi, 1951)
Chi mi ha fatto le carte, mi ha chiamato vincente ma uno zingaro è un trucco e un futuro invadente, fossi stato un po' più giovane, l'avrei distrutto con la fantasia, l'avrei stracciato con la fantasia. Ora le tue labbra puoi spedirle a un indirizzo nuovo, e la mia faccia sovrapporla a quella di chissà chi altro ancora. I tuoi quattro assi bada bene di un colore solo, li puoi nascondere o giocare come vuoi, o farli rimanere buoni amici come noi. Santa voglia di vivere e dolce Venere di Rimmel. Come quando fuori pioveva e tu mi domandavi se per caso avevo ancora quella foto in cui tu sorridevi e non guardavi, ed il vento passava sul tuo collo di pelliccia e sulla tua persona; e quando io, senza capire, ho detto sì. Hai detto "È tutto quel che hai di me". È tutto quel che ho di te.
Primavera non bussa, lei entra sicura | come il fumo lei penetra in ogni fessura | ha le labbra di carne, i capelli di grano | che paura, che voglia che ti prenda per mano. | Che paura, che voglia che porti lontano.