È una benedizione questa lieve brezza | che soffia dai campi verdi e dalle nuvole | e dal cielo: mi batte sulla guancia | quasi consapevole della gioia che dà. | Benvenuta messaggera, benvenuta amica, | ti saluta un prigioniero che esce da una casa | servile, affrancato dalle mura di codesta città, | un carcere che a lungo l'ha serrato. | Ora sono libero, emancipato, all'aria aperta, | posso prendere casa dove mi piace.
Egli, poiché dubbio non v'era sul suo sesso, per quanto la foggia di quei tempi alquanto lo dissimulasse, stava prendendo a piattonate la testa di un moro, che dondolava appesa alle travi del soffitto. Aveva essa la tinta d'una vecchia palla di cuoio; e quasi ne avrebbe avuto la forma, se non fosse stato per il cavo delle guance, e i pochi capelli duri e aridi come barbe d'una noce di cocco. Il padre di Orlando, o forse il nonno, l'aveva spiccata dal busto del gigantesco Infedele che gli s'era parato davanti all'improvviso al chiaro di luna, nelle barbare distese africane, e ora essa oscillava dolcemente, incessantemente, alla brezza perenne che soffiava per le logge in cima alla vasta dimora del signore che aveva decapitato l'Infedele.
Deh per le guance eburnee | Che di rossor tingesti, | Per gli occhi tuoi deh piacciati | Voler che teco io resti. | Io di virtudi amabili | Sarò custode e padre ; | E tu d'Amor, bellissima, | Ti chiamerai la madre.
[Explicit]
Se oggi chiedi a uno di Tarquinia come le ragazze vengon su così colorite, al contrario di quel che accadeva una volta, ti risponderà additandoti la fontana. È l'acqua, è il miracolo dell'acqua che ha moltiplicato la popolazione e fatto rifiorire le guance di quelle giovinette che a tempo mio, in primavera, apparivano tutte un po' estenuate ed anemiche, e andavano a farsi le iniezioni in farmacia, quando non si limitassero, per pudore, a bere qualche ovetto, a mangiare qualche bistecchina e a trangugiare con disgusto un mezzo bicchiere di vino rosso.
Mio tenero germoglio,
che non amo perché sulla mia pianta
sei rifiorita, ma perché sei tanto
debole e amore ti ha concesso a me;
o mia figliola, tu non sei dei sogni
miei la speranza; e non più che per ogni
altro germoglio è il mio amore per te.
La mia vita mia cara
bambina,
è l'erta solitaria, l'erta chiusa
dal muricciolo,
dove al tramonto solo
siedo, a celati miei pensieri in vista.
Se tu non vivi a quei pensieri in cima,
pur nel tuo mondo li fai divagare;
e mi piace da presso riguardare
la tua conquista.
Ti conquisti la casa a poco a poco,
e il cuore della tua selvaggia mamma.
Come la vedi, di gioia s'infiamma
la tua guancia, ed a lei corri dal gioco.
Ti accoglie in grembo una sì bella e pia
Mamma, e ti gode. E il suo vecchio amore oblia.
Non è facile dire il cambiamento che operasti.
Se adesso sono viva, allora ero morta
anche se, come una pietra, non me ne curavo
e me ne stavo dov'ero per abitudine.
Tu non ti limitasti a spingermi un po' col piede, no-
e lasciare che rivolgessi il mio piccolo occhio nudo
di nuovo verso il cielo, senza speranza, è ovvio,
di comprendere l'azzurro, o le stelle.
Non fu questo. Diciamo che ho dormito: un serpente
mascherato da sasso nero tra i sassi neri
nel bianco iato dell'inverno-
come i miei vicini, senza trarre alcun piacere
dai milioni di guance perfettamente cesellate
che si posavano a ogni istante per sciogliere
la mia guancia di basalto. Si mutavano in lacrime,
angeli piangenti su nature spente,
Ma non mi convincevano. Quelle lacrime gelavano.
Ogni testa morta aveva una visiera di ghiaccio.
E io continuavo a dormire come un dito ripiegato.
La prima cosa che vidi fu l'aria, aria trasparente,
e le gocce prigioniere che si levavano in rugiada
limpide come spiriti. Tutt'intorno giacevano molte
pietre stolide e inespressive,
Io guardavo e non capivo.
Con un brillio di scaglie di mica, mi svolsi
per riversarmi fuori come un liquido
tra le zampe d'uccello e gli steli delle piante
Non m'ingannai. Ti riconobbi all'istante.
Albero e pietra scintillavano, senzombra.
La mia breve lunghezza diventò lucente come vetro.
Cominciai a germogliare come un rametto di marzo:
un braccio e una gamba, un braccio, una gamba.
Da pietra a nuvola, e così salii in lato.
Ora assomiglio a una specie di dio
e fluttuo per laria nella mia veste d'anima
pura come una lastra di ghiaccio. È un dono.
Il padre di Bobby Garfield era stato uno di quelli che cominciano a perdere i capelli sui vent'anni e sono completamente calvi intorno ai quarantacinque. La morte per infarto a trentasei anni aveva risparmiato a Randall Garfield quesito esito estremo. Era agente immobiliare e aveva esalato l'ultimo respiro sul pavimento di una cucina altrui. Quando era spirato il possibile acquirente era in soggiorno a cercare di chiamare un'ambulanza da un telefono scollegato. All'epoca Bobby aveva tre anni. Conservava ricordi vaghi di un uomo che gli faceva il solletico e lo baciava sulle guance e sulla fronte. Era più che sicuro che quell'uomo era suo padre. HA LASCIATO UN VUOTO COLMO DI TRISTEZZA, era scritto sulla lapide di Randall Garfield, ma sua madre non era poi così triste e quanto a Bobby... be', come si può rimpiangere una persona che non si riesce a ricordare?
«Oh! Oh, Gesù! Ma che schifo!»
«Cosa, Mary, cosa?»
«Non l'hai visto?»
«Visto che cosa?»
Mary si girò e nella luce cruda del deserto lui vide che il colorito le si era spento sul viso lasciandole solo le bruciature sulle guance e sulla fronte, dove non riuscivano a difenderla nemmeno le creme a più alto fattore protettivo. Era di carnagione molto chiara e si scottava con facilità.
«Su quel cartello. Quello del limite di velocità.»
«E allora?»
"[...] Ma volevo che tu sapessi che ti penso, Sarah. Davvero, per me non c'è mai stata qualcun'altra e quella notte fu la nostra notte più bella [...] e quella notte fu la nostra notte più bella, anche se a volte mi è difficile credere che vi sia mai stato un anno 1970 e le dimostrazioni nei campus e Nixon presidente. Senza calcolatori tascabili, senza videocassette, senza orchestre punk e rock. E altre volte mi sembra che quel tempo sia tutt'ora vicinissimo, da poterlo quasi toccare. Mi sembra che se potessi tenerti tra le braccia, o toccare la tua guancia, o la tua nuca, potrei portarti con me in un futuro diverso senza dolore o tenebre o scelte amare.
Bene, tutti facciamo quello che possiamo e dobbiamo accontentarci... e se non ci basta, dobbiamo rassegnarci. Spero soltanto che tu mi penserai nel modo migliore che ti riesce, Sarah cara. Con tutto il cuore e tutto il mio amore. Johnny."
Le si mozzò il respiro di colpo e restò con la schiena rigida e gli occhi sbarrati. "Johnny...?"
Era andato.
Si alzò, si girò e naturalmente non c'era nulla. Ma poteva vederlo, ritto lì accanto, le mani sprofondate nelle tasche, il caldo sorriso un po' obliquo sul volto più attraente che bello che si appoggiava snello e disinvolto ad una tomba o ad un pilastro dell'ingresso o forse contro un albero rosseggiante d'autunno. Bella roba, Sarah, annusi ancora quella dannata cocaina?
Niente intorno se non Johnny, lì vicino. Forse ovunque.
Tutti noi facciamo quello che possiamo e dobbiamo accontentarci... e se non ci basta, dobbiamo rassegnarci. Niente è perduto per sempre, Sarah. Niente che non possa esser ritrovato.
"Sempre il vecchio Johnny", sussurrò Sarah. Uscì dal cimitero e attraversò la strada. Indugiò un attimo, voltandosi a guardare. Il tiepido vento d'ottobre alitava robusto e grandi cortine di luce e d'ombra sembravano attraversare il mondo. Gli alberi frusciavano misteriosamente.
Sarah salì in macchina e si allontanò.
È utile qui dire, che nessun bimbo può essere assolutamente brutto; che nessun bimbo ispira una completa ripugnanza. Se sono malaticci, hanno la dolcezza di una malattia; se sono rachitici, hanno la malinconia attraente di un corpo condannato; se sono precoci, hanno quel sapore strano e acre delle piccole anime, già troppo grandi. Infine potranno avere il naso camuso o gli occhi piccoli o la bocca grande ma avranno sempre qualche cosa bella: o la guancia rotonda o la delicatezza della pelle o la morbidezza dei capelli, o avranno, nello insieme, tanta grazia soave, tanta freschezza, tanta gioventù che vale come bellezza.
Viviamo di solito nell'abitudine, con il nostro essere ridotto al minimo. Le nostre facoltà restano addormentate, riposando sui guanciali dell'abitudine: essa sa quello che c'è da fare e non ha bisogno di loro.
Scorrono gli anni, volano i mesi e i giorni. Quanta pioggia è caduta, quanta neve! Ti svegli una mattina, e pare che sia finito un altro anno, ma è soltanto un nuovo giorno, e qua e là è spuntata una nuova ruga: sulla schiena, sul soffitto, sulla guancia.
[Sull'inibizione che impedisce a un lupo di azzannare un suo simile che gli mostra la gola] Devo tuttavia confessare che, nel mio sentimentalismo, sono profondamente commosso e ammirato di fronte a quel lupo che non può azzannare la gola dell'avversario, e ancor di più di fronte all'altro animale, che conta proprio su questa sua reazione! Un animale che affida la propria vita alla correttezza cavalleresca di un altro animale! C'è proprio qualcosa da imparare anche per noi uomini! Io per lo meno ne ho tratto una nuova e più profonda comprensione di un meraviglioso detto del Vangelo che spesso viene frainteso, e che finora aveva suscitato in me solo una forte resistenza istintiva: "Se qualcuno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra...". L'illuminazione mi è venuta da un lupo: non per ricevere un altro schiaffo devi offrire al nemico l'altra guancia, no, devi offrirgliela proprio per impedirgli di dartelo!
22 GIUGNO 1911
La stesso giorno in cui Giorgio V fu incoronato nell'abbazia di Westminster a Londra, Billy Williams scese per la prima volta in miniera ad Aberowen, nel Galles meridionale. Fu suo padre a svegliarlo con la solita tecnica, efficace ma non molto delicata: gli diede alcuni schiaffetti decisi e insistenti sulla guancia. Il ragazzo, immerso in un sonno profondo, dapprima cercò di ignorarli, ma avvertì un moto di rabbia quando continuarono implacabili. Poi si ricordò che doveva, anzi voleva, alzarsi, così aprì gli occhi e scattò a sedere.
ore 6.00
Era stata la notte più fortunata della vita di Tim Fitzpeterson.
Lo pensò quando aprì gli occhi e vide la ragazza che dormiva ancora nel letto accanto a lui. Non si mosse per non svegliarla; ma la guardò quasi furtivamente nella fredda luce dell'aurora londinese. Dormiva distesa sul dorso, con l'abbandono totale di un bambino. Tim ricordò la sua Adrienne quando era piccina. Ma scacciò dalla mente quel pensiero sgradito.
La ragazza al suo fianco aveva i capelli rossi che aderivano alla piccola testa come un caschetto facendo risaltare le minuscole orecchie. Tutti i lineamenti erano minuti: naso, mento, zigomi, bei denti. Durante la notte, le aveva coperto il viso con le mani larghe e goffe, aveva premuto dolcemente le dita sotto gli occhi e sulle guance, le aveva schiuso le labbra morbide con i pollici, quasi la sua pelle potesse percepire quella bellezza come percepiva il calore del fuoco.
«Che cos'è che sai fare?» «Di tutto» esalò Riddle. Un rossore eccitato gli salì dal collo alle guance incavate; sembrava febbricitante. «Muovo le cose senza toccarle. Faccio fare agli animali quello che voglio senza addestrarli. Faccio capitare cose brutte a chi mi dà fastidio. So ferirli, se voglio».
"Foglia tremante", la geisha inginocchiata davanti a James Bond, si protese a baciarlo castamente sulla guancia destra.
"È una truffa", protestò vivamente Bond. "Eravamo d'accordo che se avessi vinto avrei avuto un vero bacio, per lo meno sulla bocca."
"Perla Grigia", una Madame dai denti bizzarramente laccati di nero e così truccata da sembrare il personaggio di un Nô, si affrettè a tradurre. Vi furono risatine e urletti di incoraggiamento. Foglia Tremante si scoprì il viso con le manine affusolate, come se le avessero chiesto di compiere un atto osceno senza precedenti.
Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio, dente per dente, ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. Da' a chi ti domanda, e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle.
Le otto di sera. Per milioni di uomini, ciascuno nella sua casa, nel piccolo mondo che si è ceato o di cui è ostaggio, sta volgendo al termine, fredda e nebbiosa, una precisa giornata, quella di mercoledì 3 febbraio.
Per René Maugras non c'è né ora né giorno, e solo più tardi la questione del tempo trascorso lo assillerà. Per il momento è ancora in fondo a una voragine scura come gli abissi dell'oceano, privo di contatti con il mondo esterno. Eppure, senza che ne sia cosciente, il suo braccio destro comincia ad agitarsi in modo spasmodico mentre la guancia si gonfia comicamente ogni volta che, respirando, butta fuori l'aria.
Mi costa davvero molto emotivamente guardarmi sullo schermo. Penso a me stesso e mi sento come se fossi molto giovane, poi guardo questo vecchio con le guance cadenti e vedo gli occhi stanchi, la stempiatura e tutto il resto.
Aveva occhi chiari, grandi, luminosi, umidi e splendenti, il colore delle guance era autentico, e irrompeva alla superficie della giovane pompa vigorosa del suo cuore.
Vederti nuda è rievocare la terra.
La terra piana e priva di cavalli.
La terra senza un giunco, forma pura
chiusa al futuro: confine dargento.
Vederti nuda è comprendere lansia
della pioggia che cerca fragili fianchi,
o la febbre del mare dal volto immenso
che non trova la luce della sua guancia.
Il sangue risuonerà nelle alcove
e verrà con spada di folgore,
ma tu non saprai dove si celano
il cuore di rospo o la violetta.
Il tuo ventre è uno scontro di radici,
le tue labbra unalba senza profilo,
e sotto le tiepide rose del letto gemono
i morti, in attesa del loro turno.
È viva la tua anima? E lascia che si nutra! Non lasciare balconi da scalare, né bianchi seni su cui riposare, né teste d'oro con guanciali da spartire.
Madrid, 10 aprile 1937
¿Dónde están tus compañeros? ringhiava il coronel stringendogli forte le guance con i suoi artigli neri ma al profesor, come a un pesce preso all'amo, usciva soltanto una bolla scura di saliva dalle labbra schiacciate e il coronel lo colpì sul volto con le dita magre chiuse a martello, finché dal naso non gli uscí uno schizzo di sangue rosso da comunista, caldo nella notte fredda di Madrid.