Se io dunque traspongo questi princìpi nel mondo degli uomini, mi troverò immediatamente considerato un fesso e comunque verrò punito, perché non ho dato gomitate ma le ho soltanto ricevute. È davvero difficile conciliare queste diversità. Da qui l'importanza di fortificare l'animo, di scegliere che cosa si vuole essere. E, una volta scelta una direzione, di essere talmente forti da non soccombere alla tentazione di imboccare l'altra. Naturalmente il prezzo da pagare per rimanere fedele a questo «ordine» che ci si è dati è altissimo.
Chi include la diversità ed è Natura,
Chi è lampiezza della terra e la volgarità e la sessualità
della terra, e la grande carità della terra, e il suo equilibrio anche,
Chi non per nulla ha guardato dalle finestre degli occhi e
non per nulla nel suo cervello ha dato udienza ai messaggeri,
Chi contiene credenti e miscredenti, chi è il più maestoso amante,
Chi possiede debitamente uomo e donna, la sua una e
trina porzione di realismo, spiritualismo, senso estetico o intellettuale,
Chi avendo preso in considerazione il corpo trova tutti i suoi
organi e le sue parti buone,
Chi, fuori dalla teoria della terra e del suo corpo, uomo o
o donna, capisce per sottile analogia tutte le altre teorie,
la teoria di una città, di un poema, dellampia politica di questi stati,
Chi crede non soltanto nel nostro pianeta con il suo sole e
la sua luna, ma anche in altri pianeti con i loro soli e le loro lune,
Chi, costruendo la sua casa, non per un giorno, ma per
sempre, vede razze, ere, date, generazioni,
Il passato, il futuro abitare lì, come lo spazio, insieme, inseparabili.
Vienna, 14 maggio, 1759.
Eccomi giunto. Ma quanta diversità dal correre la posta tranquillamente al camino, e coll'itinerario in mano, dire domani al tal sito, posdomani comodamente al tal altro. Sedendo al fuoco agiatamente, da Milano a Vienna vi si passa in sei o sette giorni. Io però nel Tirolo, nella Stiria e Carinzia, ho incontrato delle difficoltà che sulla carta non erano scritte. La mattina al fare del giorno 5 di questo mese m'avete veduto partire; ora vi dico, che non ho potuto giungere a Vienna se non ieri, cioè il nono giorno, e vi sarei giunto assai più tardi, se non avessi sacrificato quattro notti. La sera del 5 dormii a Brescia, viaggiai tutto il giorno 6 e la notte, e dormii la sera del 7 a Bolzano. La mattina del giorno 8 partii, viaggiai di seguito tutta la notte e tutto il giorno 9, e la sera dormii a Lienz.
È grave sforzarsi di essere uguali: provoca nevrosi, psicosi, paranoie. È grave voler essere uguali, perché questo significa forzare la natura, significa andare contro le leggi di Dio che, in tutti i boschi e le foreste del mondo, non ha creato una sola foglia identica a un'altra. Ma tu ritieni che essere diverso sia una follia, e perciò hai scelto di vivere a Villette. Perché qui, visto che sono tutti diversi, diventi uguale agli altri.
Io non vanto la mia sessualità, non propongo la mia diversità come un paradigma: semplicemente non la nascondo, mi sento affrancato da quella oppressione che faceva dire a Oscar Wilde che l'omosessualità è "l'amore che non osa pronunciare il proprio nome": appunto, io penso che non si possa vivere nell'anonimato, darsi nome e dare nome alle cose è necessario per imparare a conoscere, a discernere, a giudicare. [...] Io ho rotto il silenzio su di me a vent'anni, in un paese di Puglia, oltre trent'anni fa. Un giorno scriverò un libro sull'esperienza del soffocamento, dell'apnea, della paura, del dolore: con queste monete io ho potuto comprare la mia libertà e la mia dignità. E ho camminato sempre a testa alta. Oggi sogno un'Italia libera dal sessismo e dalla sessuofobia, capace di educarsi al rispetto delle differenze, capace di non ridurre l'umanità ad un cumulo di etichette.
Nel mondo non ci sono mai state due opinioni uguali. Non più di quanto ci siano mai stati due capelli o due grani identici: la qualità più universale è la diversità.
Signori imperadori, re e duci e tutte altre genti che volete sapere le diverse generazioni delle genti e le diversità delle regioni del mondo, leggete questo libro dove le troverrete tutte le grandissime maraviglie e gran diversitadi delle genti d'Erminia, di Persia e di Tarteria, d'India e di molte altre province. E questo vi conterà il libro ordinatamente siccome messere Marco Polo, savio e nobile cittadino di Vinegia, le conta in questo libro e egli medesimo le vide. Ma ancora v'à di quelle cose le quali elli non vide, ma udille da persone degne di fede, e però le cose vedute dirà di veduta e l'altre per udita, acciò che 'l nostro libro sia veritieri e sanza niuna menzogna.
Che mondaccio, signor Gubbio, che mondaccio è questo! che schifo! Ma pajono tutti... che so! Ma perché si dev'essere così? Mascherati! Mascherati! Mascherati! Me lo dica lei! Perché, appena insieme, l'uno di fronte all'altro, diventiamo tutti tanti pagliacci? Scusi, no, anch'io, anch'io; mi ci metto anch'io; tutti! Mascherati! Questo un'aria così; quello un'aria cosà... E dentro siamo diversi! Abbiamo il cuore, dentro, come... come un bambino rincantucciato, offeso, che piange e si vergogna!
Tutta la diversità umana è il prodotto della varietà quasi infinita delle combinazioni di geni. Noi tutti siamo formati della stessa polvere cromosomica, nessuno di noi ne possiede un solo granello che possa rivendicare come suo. È il nostro insieme che ci appartiene e ci fa nostri: noi siamo un mosaico originale di elementi banali.
Qualunque sia l'importanza della "grazia germinale", bisogna guardarsi da un giansenismo biologico che supporrebbe l'essere predeterminato nell'uovo che gli dette origine. L'ambiente interviene possentemente nella realizzazione umana. Ed è per ciò che sarebbe abusiva la pretesa di apprezzare, anche grossolanamente, il valore nativo degli individui, in una società come la nostra, dove infierisce una tale diversità di condizioni. Quanti esseri ben concepiti hanno avuto la fortuna di nascere male! L'uomo nasce differente dall'uomo, è vero, ma finché l'uomo non sarà trattato come l'uomo, sarebbe fuori luogo riferire le inuguaglianze apparenti alle inuguaglianze originali. Evitiamo di giudicare l'uovo dall'adulto.
Sarò sempre legato all'Inter, che fa parte della mia vita e di quella della mia famiglia. Essere interisti è bellissimo: siamo diversi da tutti gli altri, è stupendo. Continuerò a esserlo sempre, così come sempre rimarrò legato all'Inter: magari in un altro ruolo ma continuerò a essere legato a questa grande famiglia.
Mia figlia si informa, legge, mi ha chiesto di vedere insieme Gomorra. In un certo senso io monitorizzo la sua vita, so chi vede, cosa si dicono fra amici. La comunicazione è assoluta fra noi. E poi spero che i miei figli portino fuori casa il messaggio che si può essere diversi. Ognuno di noi può fare qualcosa allinterno della famiglia per migliorare la società.
La cieca necessità metafisica, certamente la stessa sempre e dovunque, non potrebbe produrre la varietà delle cose. Tutta quella diversità delle cose nella natura, che troviamo adatte a tempi e luoghi differenti non può derivare da altro che dalle idee e dalla volontà di un Essere che esiste necessariamente.
Le stagioni determinano le forme: or le stagioni differiscono tra di esse; la medesima stagione differisce da se stessa nei diversi paesi; e le forme degli esseri viventi rappresentano tutte queste diversità.
Le identità sono ancoraggi saldi e irrinunciabili, ma non devono diventare trappole per catturare e dividere i popoli. Il rimedio è nel dialogo. Perché attraverso il dialogo identità diverse imparano a conoscersi ed a rispettarsi reciprocamente, sia per quel che hanno in comune, sia per quel che le rende differenti. È pazzesco pensare che specialmente le tre grandi religioni monoteistiche, i tre rami della famiglia di Abramo, siano destinate a scontrarsi e non, invece, a convivere pacificamente, pur nella loro diversità.
Inizio a camminare.
Cammino lento perché non ho bisogno di correre. Cammino lento perché non voglio correre. Tutto è previsto, anche il tempo legato al mio passo. Ho calcolato che mi bastano otto minuti. Al polso ho un orologio da pochi dollari e un peso nella tasca della giacca. È una giacca in tela verde e sul davanti, sopra il taschino, sopra il cuore, una volta c'era una striscia cucita con un grado e un nome. Apparteneva a una persona il cui ricordo è sbiadito come se la sua custodia fosse stata affidata alla memoria autunnale di un vecchio. È rimasta solo una leggera traccia più chiara, un piccolo livido sul tessuto, sopravvissuto all'affronto di mille lavaggi quando qualcuno
Chi?
perché?
ha strappato via quella striscia sottile e ha trasferito il nome prima su una tomba e poi nel nulla.
Adesso è una giacca e basta.
La mia giacca.
Ho deciso che la metterò ogni volta che uscirò per fare la mia breve camminata di otto minuti. Passi che si perderanno come fruscii nel fragore di milioni di altri passi camminati ogni giorno in questa città. Minuti che si confonderanno come scherzi del tempo, stelle filanti senza colore, un fiocco di neve sul crinale che è l'unico a sapere di essere diverso da tutti gli altri.
Devo camminare otto minuti a un passo regolare per essere sicuro che il segnale radio abbia voce sufficiente per compiere il suo lavoro.
Ho letto da qualche parte che se il sole si spegnesse di colpo, la sua luce raggiungerebbe la terra ancora per otto minuti prima di precipitare tutto nel buio e nel freddo dell'addio.
D'un tratto mi ricordo di questa cosa e mi metto a ridere. Solo, in mezzo alla gente e al traffico, la testa levata al cielo, una bocca spalancata su un marciapiede di New York per la sorpresa di un satellite nello spazio, mi metto a ridere. Intorno a me persone si muovono e guardano quel tipo in piedi all'angolo di una strada che sta ridendo come un pazzo.
Qualcuno forse pensa che pazzo lo sia davvero
Uno addirittura si ferma e per qualche istante si unisce alla mia risata, poi si rende conto che ride senza saperne il motivo. Rido fino alle lacrime per la incredibile e derisoria viltà del destino. Uomini hanno vissuto per pensare e altri non hanno potuto farlo per essere stati costretti alla sola incombenza di sopravvivere.
E altri a morire.
Un affanno senza remissione, un rantolo senza aria da salvare, un punto interrogativo da portare sulle spalle come il peso di una croce, perché la salita è una malattia che non finisce mai. Nessuno ha trovato il rimedio per il semplice motivo che il rimedio non c'è.
La mia è solo una proposta: otto minuti.
Nessuno fra gli esseri umani che si affannano intorno a me può sapere il momento in cui questi ultimi otto minuti inizieranno.
Io sì.
Io ho nelle mie mani molte volte il sole e posso spegnerlo quando voglio. Raggiungo il punto che per il mio passo e per il mio cronometro rappresenta la parola qui, infilo la mano in tasca e le mie dita circondano un piccolo oggetto solido e conosciuto. La mia pelle sulla plastica è una guida sicura, un sentiero da percorrere, una memoria vigile.
Trovo un pulsante e con delicatezza lo premo.
E un altro,
E un atro ancora.
Un attimo o mille anni dopo, l'esplosione è un tuono senza temporale, la terra che accoglie il cielo, un momento di liberazione. Poi le urla e la polvere e il rumore delle macchine che si scontrano, e le sirene mi avvertono che per molta gente dietro di me gli otto minuti sono finiti.
Questo è il mio potere.
Questo è il mio dovere.
Questo è il mio volere.
Io sono Dio.
Torniamo a ciò che fin dall'inizio siamo stati. Politici senza esserlo, non è che fossimo contro la civiltà tecnologico-industriale nel cui ambito ormai stavamo e, in qualche modo, eravamo soddisfatti di stare. Volevamo tuttavia che essa, la civiltà tecnologico-industriale, si desse una religione. Non siamo come i Verdi, noi. Ci guardiamo bene dal sognare che l'Italia e il mondo tornino indietro, verso la civiltà agricolo-forestale da cui tutti proveniamo. Vogliamo però che la civiltà tecnologico-industriale, di cui facciamo parte, la smetta di tentare di convincere il mondo che è opportuno l'avvento di un'epoca di consumatori-consumati. Noi siamo diversi, vogliamo che gli uomini continuino a essere uomini.
[I trent'anni di Italia Nostra, 1986]
Capire la Sicilia significa dunque per un siciliano capire se stesso, assolversi o condannarsi. Ma significa, insieme, definire il dissidio fondamentale che ci travaglia, l'oscillazione fra claustrofobia e claustrofilia, fra odio e amor di clausura, secondo che ci tenti l'espatrio o ci lusinghi l'intimità di una tana, la seduzione di vivere la vita con un vizio solitario. L'insularità, voglio dire, non è una segregazione solo geografica, ma se ne porta dietro altre: della provincia, della famiglia, della stanza, del proprio cuore. Da qui il nostro orgoglio, la diffidenza, il pudore; e il senso di essere diversi.
Due applausi per la democrazia: uno perché ammette la diversità, due perché permette di fare critiche. Due applausi sono sufficienti perché non ci sarà occasione di farne tre. Solo l'amore e l'Amata Repubblica si riservano il terzo.
Lo stretto di Gibilterra è forse di tutti gli stretti quello che separa più nettamente due paesi più diversi, e questa diversità appare anche maggiore andando a Tangeri da Gibilterra. Qui ferve ancora la vita affrettata, rumorosa e splendida delle città europee; e un viaggiatore di qualunque parte d'Europa sente l'aria della sua patria nella comunanza d'una infinità d'aspetti e di consuetudini. A tre ore di là, il nome del nostro continente suona quasi come un nome favoloso; cristiano significa nemico, la nostra civiltà è ignorata o temuta o derisa; tutto, dai primi fondamenti della vita sociale fino ai più insignificanti particolari della vita privata, è cambiato; e scomparso fin anche ogni indizio della vicinanza d'Europa.
L'amore è la forza vitale dell'umanità che tende a realizzare, per mezzo dell'individuo, la propria indefinita ricchezza e completezza, a manifestare, nella diversità del tipo umano, tutte le sue virtualità latenti ed esprimersi completamente in tutto il suo potenziale di vita umana.