La filosofia e il sole si assomigliano, entrambi devono cacciare la notte la notte fisica e la notte della mente quella che fa vivere l'uomo annegato in un oceano di superstizione.
Quando ero ancora un giovane avvocato, mi capitò di leggere un poeta inglese, e una sua frase mi colpì profondamente: "Sii come la fonte che trabocca, e non come la cisterna che racchiude sempre la stessa acqua". Ho sempre pensato che il poeta fosse in errore: è pericoloso "lasciar traboccare", perché si corre il rischio di inondare le aree in cui vivono le persone amate, facendole annegare col nostro amore e il nostro entusiasmo. Per tutta la vita, ho cercato di comportarmi come una cisterna, senza mai superare i limiti delle mie pareti interiori.
Mattia lo sapeva. Sapeva tutto quanto, ma non riusciva a muoversi da dov'era. Come se, abbandonandosi al richiamo di Alice, potesse ritrovarsi in trappola, annegarci dentro e perdersi per sempre. Era rimasto impassibile e in silenzio, ad aspettare che fosse troppo tardi.
Non aumentiamo consensi tra i laureati, nella classe media creativa, perché sono quelli che credono ancora di poter guadagnare dalla mondializzazione. È come sul Titanic: finché l'acqua sommerge le cabine di terza classe, quelli della prima ballano. Prima o poi anche loro capiranno che stanno per annegare.
Ed ecco, ora, dopo essermi aggirato per due anni, come un'ombra, in quella illusione di vita oltre la morte, mi vedevo costretto, forzato, trascinato peri capelli a eseguire su me la loro condanna. Mi avevano ucciso davvero! Ed esse, esse sole si erano liberate di me... [...] Ma sì! ma sì! Io non dovevo uccider me, un morto, io dovevo uccidere quella folle, assurda finzione che m'aveva torturato, straziato due anni, quell'Adriano Meis, condannato a essere un vile, un bugiardo, un miserabile; quell'Adriano Meis dovevo uccidere, che essendo, com'era, un nome falso, avrebbe dovuto aver pure di stoppa il cervello, di cartapesta il cuore, di gomma le vene, nelle quali un po' d'acqua tinta avrebbe dovuto scorrere, invece di sangue: allora sì! Via, dunque, giù, giù, tristo fantoccio odioso! Annegato, lí, come Mattia Pascal! Una volta per uno!
Il falcone non potendo sopportare con pazienza il nascondere che fa lanitra fuggendosele dinnanzi e entrando sotto acqua, volle come quella sotto acqua seguitare, e, bagnatosi le penne, rimase in essa acqua, e lanitra, levatasi in aria, schernia il falcone che annegava.
Addormentatosi lasino sopra il diaccio dun profondo lago, il suo calore dissolvé esso diaccio, e lasino sottacqua, a mal suo danno, si destò, e subito annegò.
Ho urlato così tanto che mi scoppia la testa | e quindi te ne sei andata subito | mi esce un po' di sangue dalla mano destra | c'è un segno lì sul muro | pensa te che stupido | O ti amo o ti ammazzo | pioggia che annega ma rinfresca | sei una chicca che mi fotte la testa.
[da Ti amo o ti ammazzo]
Una libertà oscena, gioiosa, nuda, che nella sua fantasia si ergeva come un'immensa cattedrale spaziosa, magari in rovina, magari scoperchiata, spalancata verso la volta del cielo, nella quale lui e lei sarebbero ascesi in assenza di peso verso un poderoso abbraccio per perdersi, per annegare in ondate di purissima estasi dimentiche di tutto. Era talmente semplice! Come mai non vi si trovavano già, e invece stavano ancora seduti lì, intrappolati da tutte le cose che non sapevano dire, o che non osavano fare?
Il primo febbraio 1887 la Lady Vain naufragò a seguito di una collisione con un relitto a circa 1' di latitudine sud e 107' di longitudine ovest. Il 5 gennaio 1888, ossia undici mesi e quattro giorni dopo, a 5' e 3'' di latitudine sud e 101' di longitudine ovest, fu trovato mio zio, Edward Prendick, certamente imbarcatosi sul Lady Vain a Callao e ritenuto morto per annegamento. Era in una piccola imbarcazione aperta, dal nome illeggibile, ma probabilmente appartenuta alla goletta dispersa Ipecacuanha. Fornì un resoconto così strano di come fosse finito lì che si concluse fosse fosse impazzito. In seguito disse di aver avuto un vuoto di memoria dal momento in cui era fuggito dalla Lady Vain.
L'editore deve gettarsi, tuffarsi a rischio di annegare, nella realtà. Senza sapere nulla deve far sapere tutto, tutto quello che serve, e che serve ai vari livelli di coscienza.
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.
Sono assuefatto dal dolore, dallo stress, dal dramma, sto annegando nella merda, credo di essere un guaio, maledetto e benedetto, ma questa volta non cambio idea.
Scriviamo per farla finita con noi stessi, ma con il desiderio di essere letti, non c'è modo di sfuggire a questa contraddizione. È come se annegassimo urlando: "Guarda, mamma, so nuotare!". Quelli che gridano più forte all'autenticità si gettano dal quindicesimo piano, facendo il tuffo d'angelo: "Vedete, sono soltanto io!". Quanto a sostenere di scrivere senza voler essere letti (tenere un diario, per esempio), significa spingere fino al ridicolo il sogno di essere contemporaneamente l'autore e il lettore.
Figlio mio caro, tu entri in quell'età in cui il volto d'una donna ci fa tremare il cuore. Conserva la sacra purezza dell'innocenza e un orgoglioso pudore. Chi da giovane s'è abituato ad annegare coi sensi nei piaceri viziosi, costui, da adulto, sarà cupo e sanguinario e prima del tempo la sua mente s'annebbierà. Della tua famiglia, sii sempre il capo.