Spengiti, spengiti breve candela! La vita non è che un'ombra che cammina, un povero commediante che si pavoneggia e si agita, sulla scena del mondo, per la sua ora, e poi non se ne parla più; una favola raccontata da un idiota, piena di rumore e di furore, che non significa nulla.
C'è chi è turbato dal fatto che non si possa provare scientificamente l'esistenza del Creatore. Ma dobbiamo veramente accendere una candela per vedere il Sole?
"Ragione per cui" scriveva Betty Flanders, affondando sempre più i calcagni nella sabbia "ragione per cui non restava che andarsene".
Lentamente, scaturendo dalla paura del beccuccio d'oro, il pallido inchiostro turchino si effuse sul punto: lì, infatti, la sua penna si fermò, i suoi occhi si fissarono e lentamente si riempirono di lacrime. Tutto il golfo tremava, il faro oscillò, e l'illusione fu che l'albero del piccolo vascello di Mr. Connor pendesse come una candela di cera nel sole. Subito essa batté le palpebre: le disgrazie sono sempre orrende. Daccapo batté gli occhi. L'albero si ergeva diritto, le onde si succedevano regolarmente, il faro era perpendicolare: ma la macchia d'inchiostro s'era sparsa.
Sono esatto e d'argento, privo di preconcetti.
Qualunque cosa io veda subito l'inghiottisco
tale e quale senza ombre di amore o disgusto.
Io non sono crudele, ma soltanto veritiero -
quadrangolare occhio di un piccolo iddio.
Il più del tempo rifletto
sulla parete di fronte.
È rosa, macchiettata. Ormai da tanto tempo la guardo che la sento
un pezzo del mio cuore. Ma lei c'è e non c'è.
Visi e oscurità continuamente si separano.
Adesso io sono un lago. Su me si china una donna
cercando in me di scoprire quella che lei è realmente.
Poi a quelle bugiarde si volta: alle candele o alla luna.
Io vedo la sua schiena e la rifletto fedelmente.
Me ne ripaga con lacrime e un agitare di mani.
Sono importante per lei. Anche lei viene e va.
Ogni mattina il suo viso si alterna all'oscurità.
In me lei ha annegato una ragazza, da me gli sorge incontro
giorno dopo giorno una vecchia, pesce mostruoso.
Una lavava i panni e pel freddo aveva i piedi molto rossi, e, passandole appresso, uno prete domandò con ammirazione donde tale rossezza dirivassi; al quale la femmina subito rispuose che tale effetto accadeva, perché ella aveva sotto il foco. Allora il prete mise mano a quello membro, che lo fece essere più prete che monaca, e, a quella accostatosi, con dolce e sommessiva voce pregò quella che n cortesia li dovessi un poco accendere quella candela.
Ecco ora il cane Franz che veniva verso di me. Quantunque fossi suo nemico, mi sfregava il muso contro i ginocchi e mi chiedeva quasi perdono. Intanto i ceri bruciavano, i ceri da morto, i miei ceri da morto! E dalla chiesa di San Pietro non giungeva il suono delle campane. E io non ho mai un orologio con me, e non sapevo che ora fosse.
«Franz, il conto!» dissi al cane e lui mi saltò in grembo.
Presi un pezzetto di zucchero e glielo porsi.
Non lo prese. Si limitò a guaire. E subito dopo mi leccò la mano, dalla quale non aveva accolto il dono.
Spensi ora una candela. L'altra la staccai dal finto marmo e andai alla porta e con la pertica alzai la saracinesca dall'interno.
In realtà volevo sfuggire al cane e al suo amore.
Quando uscii sulla strada, la pertica in mano per tirare giù di nuovo la saracinesca, vidi che il cane Franz non mi aveva lasciato. Mi seguiva. Non poteva restare. Era un cane vecchio. Come minimo aveva servito il caffè Lindhammer per dieci anni, come io l'imperatore Francesco Giuseppe, e ora non poteva più farlo. Ora nessuno di noi due poteva più farlo. «Il conto, Franz!» dissi al cane. Mi rispose con un guaito.
L'alba spuntava su quelle croci totalmente estranee. Trascorreva un vento leggero e faceva dondolare i vecchi lampioni che ancora non si erano spenti, non questa notte. Camminavo per strade deserte, con un cane sconosciuto. Era deciso a seguirmi. Dove? Io ne sapevo quanto lui.
La Cripta dei Cappuccini, dove giacciono i miei imperatori, sepolti in sarcofagii di pietra, era chiusa. Il frate cappuccino mi venne incontro e disse: «Che cosa desidera?».
«Voglio visitare il sarcofago del mio imperatore Francesco Giuseppe» risposi.
«Dio la benedica!» disse il frate, e fece sopra di me il segno della croce.
«Dio conservi!» gridai.
«Zitto!» disse il frate.
Dove devo andare, ora, io, un Trotta?...
[Explicit]
Ho vissuto a lume di candela per due anni perché non potevo permettermi di pagare la luce elettrica. È stato bello e romantico a quel tempo, ma se non puoi permetterti l'energia elettrica sei quasi finito.
Il segreto del mio lungo matrimonio? Andiamo al ristorante due volte a settimana. Ceniamo a lume di candela, musica romantica e qualche passo di danza... Lei ci va il martedì e io il venerdì.
Cittadini di palagio, | mercanti e buon artieri; E voi conti di maremma, dai selvatici manieri; | Voi di corsica visconti, Voi marchesi de' confini; Voi che re siete in sardegna ed in Pisa cittadini; | Voi che in volta del levante mainaste or or la vela: pria che arrossi la Verruca E si spenga la candela, | Fuori porta del parlascio, Su correte arditamente! Su, Su, popolo di Pisa, | Cavalieri e buona gente!
Ci sarà un'altra notte. E poi molte altre notti ancora. E mille volti di uomini in cui spegnere il sorriso come la candela dentro a una stupida zucca vuota.
Cosa è questo primo lavoro? Una commedia, il Candelaio. Bruno vi sfoga le sue qualità poetiche e letterarie. La scena è in Napoli, la materia è il mondo plebeo e volgare, il concetto è l'eterna lotta degli sciocchi e de' furbi, lo spirito è il più profondo disprezzo e fastidio della società, la forma è cinica. È il fondo della commedia italiana dal Boccaccio all'Aretino, salvo che gli altri vi si spassano, massime l'Aretino, ed egli se ne stacca e rimane al di sopra. Chiamasi accademico di nulla accademia, detto il Fastidito. Nel tempo classico delle accademie il suo titolo di gloria è di non essere accademico. Quel fastidito ti dà la chiave del suo spirito. La società non gl'ispira più collera; ne ha fastidio, si sente fuori e sopra di essa.[...] Ci è un libro pubblicato a Parigi nel 1582, col titolo: De umbris idearum, e lo raccomando a' filosofi, perché ivi è il primo germe di quel mondo nuovo, che fermentava nel suo cervello. Ivi tra quelle bizzarrie mnemoniche è sviluppato questo concetto capitalissimo, che le serie del mondo intellettuale corrispondono alle serie del mondo naturale, perché uno è il principio dello spirito e della natura, uno è il pensiero e l'essere. Perciò pensare è figurare al di dentro quello che la natura rappresenta al di fuori, copiare in sé la scrittura della natura. Pensare è vedere, ed il suo organo è l'occhio interiore, negato agl'inetti. Ond'è che la logica non è un argomentare, ma un contemplare, una intuizione intellettuale non delle idee, che sono in Dio, sostanza fuori della cognizione, ma delle ombre o riflessi delle idee ne' sensi e nella ragione.
Tra corpo e anima vige un rapporto materia-forma, come se l'anima fosse la vera forma del corpo. Chiedersi se corpo e anima siano la stessa cosa è una domanda priva di senso: è come domandarsi se sono la stessa cosa la cera e la forma della candela.