Gli esseri umani non nascono sempre il giorno in cui le loro madri li danno alla luce, la vita li costringe ancora molte altre volte a partorirsi da sé.
Diventato una pura attenzione dei sensi, fluttuo senza pensieri e senza emozioni. [...] Come vorrei, lo sento in questo momento, essere una persona capace di vedere tutto questo come se non avesse con esso altro rapporto se non vederlo [...]. Non aver imparato fin dalla nascita ad attribuire significati usati a tutte queste cose; poter separare l'immagine che le cose hanno in sé dall'immagine che è stata loro imposta. [...] Smarrisco l'immagine che vedevo. Sono diventato un cieco che vede. [...] Tutto questo non è più la Realtà: è semplicemente la Vita.
Nascerà qui al ristorante "L'orologio", ritrovo di artisti, e sarà per sempre una squadra di grande talento. Questa notte splendida darà i colori al nostro stemma: il nero e l'azzurro sullo sfondo d'oro delle stelle. Si chiamerà Internazionale, perché noi siamo fratelli del mondo.
[Milano, 9 marzo 1908]
Dio, fa' che finisca presto questa pena! | Da anni ed anni sto qui, senza pace, | come un cane, in questo lettuccio | della casa degli Atridi, ad aspettare. | Conosco ormai tutti i segni delle stelle, | specie di quelle che ritornano | con l'estate e l'inverno, e in cui traspare, | di fuoco, l'altro mondo. So tutto, di loro, | le nascite, i crepuscoli... E sono | sempre qui: ad aspettare il segno | della lampada, la fiammata che porti | notizie da Troia, la parola vittoria! | La stessa angoscia che prova una donna | quando cerca l'amore. Ah, mentre sto qui, | in questo lettuccio bagnato di rugiada, | che mi tiene, la notte, lontano dai miei, | in questo lettuccio che non conosce i sogni | (è la paura, lei sola-e non il sonno- | che vive, che non mi lasci mai chiudere | le palpebre al sonno), se ho voglia | di cantare, o di fischiettare, e così | cercare, col canto, di vincere il sonno, | invece, piango: perché penso al destino | di questa casa, alla sua gioia di un tempo. | Ah, vedessi oggi la fine della mia pena, | e splendesse il fuoco segnale di gioia!
Dalla nascita alla morte, dal lunedì alla domenica, da mattina a sera, tutte le attività sono organizzate e prestabilite. Come potrebbe un uomo prigioniero nella ragnatela della routine ricordarsi che è un uomo, un individuo ben distinto, uno al quale è concessa un'unica occasione di vivere, con speranze e delusioni, dolori e timori, col desiderio di amare e il terrore della solitudine e del nulla?
So che la mia nascita è un caso, un incidente risibile, eppure, appena mi lascio andare, mi comporto come se fosse un evento capitale, indispensabile al funzionamento e all'equilibrio del mondo.
Mia madre dice che alla mia nascita ho aperto gli occhi solo dopo l'ottavo giorno, e che quando l'ho fatto la prima cosa che ho visto è stata una fede nuziale. Mi hanno incastrato.
La prima esperienza significativa da giornalista è stata nel 1966, quando per la prima volta sono andato a vivere a New York. Scrivevo corrispondenze, soprattutto culturali, per il settimanale "L'Espresso", Mauro Calamandrei curava la parte propriamente politica. New York e gli Stati Uniti attraversavano allora una fase critica: Kennedy era appena stato ucciso, suo fratello Robert sarebbe stato assassinato di lì a poco durante la campagna presidenziale. Nel 1967 cominciava la rivolta dei "figli dei fiori" in California, con profonde modificazioni del costume che sarebbero arrivate anche in Europa. Si verificò in quegli anni un grande cambiamento di massa (riassunto nel movimento detto "il Sessantotto") al quale credo che noi italiani in particolare dobbiamo alcuni passaggi verso la modernità, per esempio la conquista del divorzio. Ritengo un privilegio aver visto da vicino la nascita di questi mutamenti.
Che cosa è il desiderio di gloria negli uomini, a bordo di questa terra che naviga nello spazio infinito dove un giorno farà naufragio? Mi sembra di vedere, su una grossa nave destinata al naufragio, o piuttosto il cui naufragio è continuo e già iniziato, numerosi passeggeri, non uno dei quali arriverà a destinazione: i primi morti nutrono il folle desiderio di occupare la memoria dei superstiti, di coloro cioè che a loro volta scompariranno quanto prima negli abissi. È vero che, a vederlo da vicino, il vascello è immenso, i passeggeri di un ponte non conoscono quelli dell'altro, la poppa ignora la prua: per questo nasce l'illusione. È vero anche che, mentre in un angolo della nave si muore, non molto lontano si danza, si celebrano matrimoni, si festeggiano nascite. È vero che lequipaggio si riproduce e non diminuisce di numero. Ma che importa? Nonostante questo, il tutto è votato a una sola e medesima fine. Nessuno uscirà da questa massa galleggiante per andare a depositare il suo nome, o quello dei suoi simili, sulle costiere sconosciute, sui continenti e le isole senza numero che punteggiano il meraviglioso azzurro. Tutto accade qui dentro e a porte chiuse. Vale la pena? - La mia è una lunga parafrasi, ma Pascal ha reso questi pensieri con una sola frase: "Quanti regni ci ignorano!".
Vi è nella Cabala una musica dei Numeri, e questa musica che riduce il caos materiale ai suoi princìpi, attraverso una sorta di grandiosa matematica, spiega come la Natura si ordini e diriga la nascita delle forme che estrae dal caos. E tutto quel che vidi, mi parve ubbidire a una cifra.
Nascendo, luomo ha ricevuto dal suo stomaco lordine di mangiare tre volte al giorno, per recuperare le forze che gli tolgono il lavoro e più spesso la pigrizia.