La speranza di una nuova luce viene dai piccoli germogli, i bambini sono il vero tesoro ed io mi rivolgo a loro per poter rinvigorire e dare maggior solidità ai valori dimenticati, quei valori che non siamo capaci di riconoscere e di apprezzare fino in fondo e che talvolta lasciamo inaridire e impolverare nell'angolo più deserto dell'anima.
Alessandra Vanni
Castellina (Si), 9 agosto 1997.
Una donna sola, in un luogo buio e deserto, dove nessuno la può sentire e nessuno la può aiutare. Se fosse un romanzo o un film giallo, il caso di Alessandra Vanni sarebbe una storia da mago del brivido, da James Ellroy o da Alfred Hitchcock.
Ci siamo andati impreparati, mal comandati e indecisi e quel che è peggio senza soldi. Fidando nella nostra fortuna, nell'arte di arrangiarsi e nella nostra bella faccia. Lo abbiamo fatto per dare un deserto alle plebi diseredate del Meridione, uno sfogo al mal d'Africa dei sognatori, per la megalomania di un re e perché il presidente del Consiglio deve far dimenticare scandali bancari e agitazioni di piazza. Ma perché le facciamo sempre così, le cose, noi italiani?
Il solo pensiero di una famiglia senza il necessario per vivere, mi da un'acuta sofferenza fisica. Io so, per averlo provato, che cosa vuol dire la casa deserta ed il desco nudo.
Quanto uno ha pensato di vero o ha portato alla luce dalle tenebre, dovrà pure un giorno o l'altro venir colto da un qualsiasi spirito pensante e colpirlo, rallegrarlo e confortarlo; ed è proprio per costui che si parla, come per noi hanno parlato quelli che ci somigliano e che son diventati il nostro conforto nel deserto della vita.
Nel 1996, in un viaggio nello Yemen, fui folgorato dalla visione delle colonne più preziose dell'intera Arabia felix, quelle della regina di Saba. Tronconi di pilastri non rotondi, ma rettangolari. Con graffiti smangiati dalla luce del deserto e dal vento: storie arcane di una civiltà perduta. Le mie Stele sono mosse da squarci ricamati da piccoli cunei e altre geometrie, così da sprigionare un valore ulteriore e costituire un'espressione distinta da quelle originali.
Nel mezzo della piazza e sulla rozza pietra,
l'acqua sgorga incessante. Nel prossimo giardino
alto cipresso innalza, dietro il muro recinto
dall'edera, la macchia dei suoi rami stecchiti.
La sera sta cadendo di fronte ai caseggiati
dell'ampia piazza, in sogno. Le vetrate rifulgono
con echi affievoliti di sole. Nei balconi
vi sono forme simili a dei teschi confusi .
Infinita è la calma nella piazza deserta,
dove passeggia l'anima il suo spettro di pena.
L'acqua sgorga incessante nella conca marmorea.
In tutta l'aria in ombra solo l'acqua risuona .
È una notte bellissima d'estate.
Nelle alte case stanno
spalancati i balconi
del vecchio borgo sulla vasta piazza.
In quell'ampio rettangolo deserto,
panchine di pietra, evonimi, acacie
disegnano in simmetria
le nere ombre sulla bianca arena.
Allo zenit, la luna, e sulla torre
col quadrante alla luce l'orologio.
In questo vecchio borgo vado a zonzo
solo, come un fantasma.
Anacoreti e cenobiti vivevano nell'astinenza, prendendo qualche cibo non prima che il sole fosse tramontato, e tutti i loro pasti si riducevano a puro pane con un po' di sale e d'issopo. Alcuni inoltrandosi nel deserto, cercavano asilo in una caverna o in una tomba e conducevano una vita ancor più singolare.
In quel tempo il deserto era pieno d'anacoreti. Innumerevoli capanne, costruite dai monaci con fronde e fango, si susseguivano lungo le due rive del Nilo, né troppo vicine né troppo lontane, permettendo agli abitanti di vivere isolati e d'aiutarsi in caso di bisogno.
Frasi sul deserto
DiAnatole France
La donna, il più delle volte, non cede all'amore-passione che all'età in cui la solitudine non si teme più. Gli è che in realtà la passione è un deserto arido, una Tebaide ardente.
Frasi sul deserto
DiAnatole France
Cara Italia! Dovunque il dolente | Grido uscì del tuo lungo servaggio; | Dove ancor dell'umano lignaggio | Ogni speme deserta non è; | Dove già libertade è fiorita, | Dove ancor nel segreto matura, | Dove ha lacrime un'alta sventura, | Non c'è cor che non batta per te.
Così, per questo libro, io avrei scelto quattro epigrafi. Giusto per segnare i bordi del campo da gioco. Ecco la prima: viene da un bellissimo libro uscito da poco in Italia. L'ha scritto Wolfgang Schivelbush ed è intitolato La cultura dei vinti. (Sono titoli a cui, essendo tifoso del Toro, non posso resistere). Ecco cosa dice a un certo punto: "Il timore di essere sopraffatti e distrutti da orde barbariche è vecchio come la storia della civiltà. Immagini di desertificazione, di giardini saccheggiati da nomadi e di palazzi in sfacelo nei quali pascolano le greggi sono ricorrenti nella letteratura della decadenza dall'antichità fino ai giorni nostri." Copiate e mettete da parte.