Credo moltissimo nella pubblicità e nei media. La mia arte e la mia vita personale sono basate su di essi. Penso che il mondo dell'arte è un serbatoio enorme per chiunque sia coinvolto nella pubblicità.
Al giorno d'oggi, nel contratto che gli attori firmano, si conviene che si dovrà fare una certa quantità di pubblicità, che è la parte più difficile del lavoro e non è pagata.
[Sulla prostituzione] Harris dice che è straordinario poter mostrare una prostituta in televisione, ma io non ci trovo niente di straordinario, dato che se ne vedono in onda parecchie tutti i giorni. Io vedo un'analogia fra pubblicità e prostituzione: in un certo senso, la pubblicità è il pappone e noi le sue puttane: è così, noi non siamo liberi.
La politica è una cosa seria. Spesso, quando vedo i miei colleghi sul palco accanto ai politici, penso che non lo facciano per passione civile, ma per farsi pubblicità.
Adesso ci sono i soldi della guerra. Quella che promette aiuti. È diventata buona la guerra, umana, generosa, compassionevole, umanitaria? No, ma deve farlo credere. È fondamentale creare consenso alla guerra, far vedere che belle cose produce. Ci avevano già provato in Kosovo. L'idea della 'guerra umanitaria' si è formata sostanzialmente in quell'occasione: quando si decide di bombardare, di ammazzare, conviene garantire che dopo arriveranno gli aiuti. Certo si tratta di molto danaro, ma in fondo costa quanto un giorno o due di guerra, è un costo aggiuntivo che vale la spesa: è pubblicità, è comunicazione. E il mondo 'umanitario', in buona misura, è stato al gioco.
[Su una prova sul pubblico del film L'uomo che fuggì dal futuro] È stato folle, vorrei averlo registrato. Era come portare la Mona Lisa ad un pubblico e chiedergli "Sapete perché sta sorridendo?" "Scusa Leonardo, ma dovrai fare dei cambiamenti". Ma almeno il pubblico capì che THX non era un storia d'amore ambientata nel 25° secolo, cosa che la Warner cercava di pubblicizzare. Invece adottarono una diversa campagna pubblicitaria: "Visita il futuro, dove l'amore è il crimine supremo" [23 maggio 1971]
Non credo che un autore serio abbia mai esitato a usare un'espressione perché è già stata adoperata. Sono i pubblicitari che si sfiancano per affibbiare epiteti incongrui agli oggetti ordinari.
L'espediente di far oscurare gli schermi berlusconiani da qualche pretore intransigente, largamente appoggiato dal partito Rai, è logoro. Non è quello il problema. Il problema riguarda invece due punti-chiave: la concentrazione dei network in una sola mano e l'affollamento pubblicitario nelle trasmissioni.
Silvio Berlusconi ha un suo rispettabile concetto dei mezzi d'informazione, che si fonda su due punti essenziali. Primo punto: i mezzi d'informazione sono soprattutto dei contenitori di pubblicità e alla raccolta di pubblicità debbono subordinare ogni altro obiettivo. Secondo punto: i mezzi d'informazione debbono essere strumento d'appoggio e casse di risonanza dei gruppi di potere dominanti. I tycoons della televisione e della stampa fanno cioè parte della stessa galassia popolata dagli altri vested interests, gli interessi forti del sistema.
Per l'aumentato benessere medio l'uomo e la donna si vanno orientando verso una morfologia utilitaria. Nelle classi giovani circolano già i modelli che verranno prodotti in larga serie nel futuro; uomini agili, sicuri, di buon affidamento e di basso consumo; donne di media statura, di facile manutenzione e dalle prestazioni standard. Lievi differenze nelle rifiniture. La natura fa ancora pochi esemplari di uomini e donne lusso, destinati allo spettacolo e al consumo collettivo d'informazione, alla pubblicità, ai rotocalchi.
Lo spettacolo indecente che molti di voi stanno dando non è più tollerabile da gran parte degli italiani e questo riguarda tutti gli schieramenti politici. Il vostro agire attento solo agli interessi personali e di partito trascurando quelli del paese ci sta portando al disastro e sta danneggiando la reputazione dell'Italia.
[Rivolto alla classe politica, con una pagina di giornale pubblicitaria, nel 2011]
Con il Suo blog Beppe Grillo non avrà la possibilità, tanto facilmente, di farsi pubblicità attaccando un politico come me che non fa moralismo ma che ha sempre cercato di mantenere comportamenti morali. L'etica non la si proclama con i megafoni, ma la si testimonia con la quotidianità. Ed è quello che mi sforzo di fare ogni giorno.
Lavorare in tv è difficile, è faticoso, ti risucchia le energie: la televisione è fatta solo di numeri e di momenti legati alla pubblicità, non ti dà né tempo né il contatto col pubblico.
Quando sei giovane, ti telefonano spesso per tante iniziative. Ti dicono: "Vieni? Facciamo qualcosa contro l'AIDS" per esempio... Allora ci si va, per far piacere agli uni o agli altri, per farsi - ahimè - un po' di pubblicità. In effetti è così, mentre in seguito, queste attività ti prendono enormemente, ti impegni davvero per aiutare il tuo paese. Io ho aiutato enormemente l'Armenia.
Bartolo Longo, in omaggio alla Madonna e del Santuario di Pompei, seppe raccogliere 135 orfanelle e 70 figli dei carcerati addestrandoli in arti loro conformi e nell'agricoltura, mescolando all'ascetismo e al feticismo per la Madonna, la modernità nell'ampio uso di pubblicità e rendiconti e fotografie, e riuscendo così a collocare anche alcune orfanelle in famiglie benevole ed oneste.
Da giovane ho fatto una pubblicità, ma poi ho capito alcune cose sulla pubblicità. Qualche anno dopo ho cominciato a prendermela coi politici perché le cose non andavano bene, ma poi ho capito alcune cose sulla politica, che è controllata dall'economia. Qualche anno fa ho cominciato uno spettacolo prendendo a mazzate un computer, ma ora ho capito alcune cose su internet, che è la nostra unica difesa.
Ogni sistema politico ha la propria maniera di consumare montagne di carta: negli stati socialisti riempiono formulari in quadruplice copia, in quelli capitalisti attaccano enormi cartelli pubblicitari e impacchettano qualsiasi cosa due o più volte.
[Osservazione di Issawi sul consumo di carta]
Quel che c'è di veramente grande in questo paese è che l'America ha dato il via al costume per cui il consumatore più ricco compra essenzialmente le stesse cose del più povero. Mentre guardi alla televisione la pubblicità della Coca Cola, sai che anche il Presidente beve Coca Cola, Liz Taylor beve Coca Cola, e anche tu puoi berla.
Una tv di Stato che utilizza gli stessi parametri dei privati, abdica alla sua funzione altissima di divulgazione culturale. Ora è evidente che la cultura non paga in termini commerciali, o meglio la pubblicità non paga la cultura. Ma la Rai usufruisce del canone, deve dare un servizio pubblico, che è un suo dovere. Invece la televisione di Stato ha preferito strizzare l'occhio ai privati, ha fatto sparire le rubriche dei libri. Oggi gli unici programmi culturali in Rai, sono quelli sugli elefanti, sulle gazzelle, su rare specie di uccelli.