Il mio gesto di esultanza è un passo di danza giamaicano che ho personalizzato. Significa "To the world", dalla Giamaica a tutto il mondo. È venuto per caso però ha attecchito: ho visto anche dei bambini giapponesi che lo facevano.
Un mercantile giapponese era stato silurato durante la Seconda guerra mondiale e giaceva sul fondo del porto di Tokyo con un grosso buco nello scafo. Una squadra di ingegneri viene convocata per riportare a galla il vascello danneggiato. Uno di loro, per affrontare il problema, ricorda di aver visto un cartone animato di Paperino quando era piccolo e c'era una nave affondata con un buco nello scafo e per riportarla a galla l'hanno riempita di palline da ping-pong. Gli altri ingegneri, assai scettici, si mettono a ridere ma uno di essi è disposto a provare. Certo, dove diavolo potevano trovare venti milioni di palline da ping-pong se non a Tokyo? E quella è stata la soluzione ideale. Le palline furono sparate nello scafo e la nave tornò a galla. Morale: le soluzioni dei problemi si trovano nei posti più impensati. E inoltre, credi in te stesso anche nelle peggiori avversità.
[...] quel misero gruppuscolo di nati perdenti con il loro piccolo club segreto in quella località nota come i Barrens, i "brulli", buffo nome per una zona così lussureggiante di vegetazione. A credersi esploratori nella giungla, o genieri della Marina americana a disboscare un atollo nel Pacifico per una pista d'atterraggio tenendo testa ai giapponesi; a immaginarsi costruttori di una diga, cowboy, astronauti in un mondo di giungla; a inventarsi di tutto e tutto si poteva inventare, ma sempre senza dimenticarsi di quello che stavano facendo veramente: si nascondevano dai ragazzi più grandi, si nascondevano a Henry Bowers e Victor Criss e Belch Huggins e tutti gli altri. Che branco di miserevoli erano stati: Stan Uris con quel nasone da ebreo; Bill Denbrough che a parte "Hi-yo, ragazzi" non sapeva dire niente senza balbettare così spaventosamente da farti torcere le budella; Beverly Marsh con i suoi lividi e le sigarette nascoste nella manica arrotolata della camicetta; Ben Hanscom, così grosso da sembrare una versione umana di Moby Dick; e Richie Tozier, con quei fondi di bottiglia che aveva per occhiali e i suoi voti da primo della classe e la sua lingua saggia e quella faccia che sembrava supplicare di essere squinternata e ricomposta in forme nuove ed eccitanti. C'era una parola per definirli? Oh sì. C'è sempre una parola. Nel loro caso era impiastri.
Siamo entrati in un mondo della comunicazione, nel senso materiale - per mezzo di satelliti ecc. - ma anche qui i mezzi di comunicazione sono molto più avanzati della qualità della comunicazione. Un autentico confronto con i contenuti di fondo della saggezza indiana, della saggezza giapponese o cinese, del Buddismo o dell'Islamismo, non c'è ancora stato. Ora io credo che si possa dire che questo anticipo della comunicazione tecnologica sulla comunicazione culturale è una forma patologica della società contemporanea.
Il clima, la religione, le leggi, le massime di governo, gli esempi delle gesta passate, i costumi, i modi di fare; da questi ne risulta uno spirito generale. Nella misura in cui, in ogni nazione, una di queste cause agisce con maggior forza, le altre le cedano in misura proporzionale. La natura ed il clima dominano incontrastate sui selvaggi; le leggi tiranneggiano il Giappone; i costumi, nel passato, davano il tono a Sparta, le massime del governo e i costumi degli avi lo davano in Roma.
Qualcuno d'importante ha detto che non ha senso vivere la vita se non si ha modo di raccontarla. O forse non lo ha detto nessuno, e a dire il vero non è neanche 'sto granché come aforisma. Però penso contenga un fondo di verità: se non la organizziamo in una struttura narrativa, in una griglia logica che gli dia un significato, la nostra esistenza è solo un susseguirsi di episodi più o meno casuali. I racconti di guerra dei nonni, le fotografie dei giapponesi sotto la Torre di Pisa, i tatuaggi per gli amori finiti male, i filmini della Prima Comunione, sono tutti tentativi di scrivere una sceneggiatura, di dividere in capitoli la nostra vita in modo che le esperienza belle e brutte, le persone care e quelle incrociate per un istante, i luoghi attraversati durante il viaggio e le emozioni provate non vadano perdute per sempre "come lacrime nella pioggia". Perdonate la citazione scontata.
Lo ripeto, non abbiamo l'umiltè dei francesi, né il coraggio degli spagnoli: quelli si fanno infilzare anche dai tori, noi no, siamo utilitaristi. Ma sono tutti superiori a noi, tutti streordineri: guardate i giapponesi che si ammazzano per la Patria, fanno i kamikaze, noi non vinceremo più finché non avremo il coraggio di ammazzarci. Persino gli indiani si infilano i chiodi, quei fachiri... e noi?
Nell'horror giapponese la cosa più interessante è il fatto che la minaccia è sempre un qualcosa che è dentro noi stessi, una concezione della paura molto più sofisticata e sottile.
Il Giappone consuma più di quello che produce [...] non abbiamo autosufficienza alimentare e persino il nostro abbigliamento intimo è fatto in Cina, il centro dellincertezza della nostra Nazione. Mi rendo conto che è impossibile cambiare drasticamente. Sarà quindi necessario un cambiamento graduale. Ma altresì è necessario molto tempo per arrivarci: se si procede troppo lentamente nellattuazione di queste modifiche, non posso dire di essere fiducioso nella nostra opera di allontanare la fine della civiltà.
La cosa a cui meno aspiro in assoluto è diventare il Primo Ministro del Giappone. Si tratta di un lavoro deprimente, perché non è possibile dire la verità alle persone che non vogliono sentire la verità.
Il mondo sappia che la prima bomba atomica è stata sganciata su Hiroshima, una base militare. Abbiamo vinto la gara per la scoperta dell'atomica contro i tedeschi. L'abbiamo usata per abbreviare l'agonia della guerra, per risparmiare la vita di migliaia e migliaia di giovani americani, e continueremo a usarla sino alla completa distruzione del potenziale bellico giapponese.
Noi, i geofagi... - ex italiani, americani, britannici, tedeschi, russi, giapponesi ecc. Un solo popolo, nessuna patria. Il puro divorarsi delle giungle e dei fondi marini. Morire d'indigestione della polpetta Terra non è un glorioso morire.
Frasi sul Giappone e sui giapponesiFrasi sulla giungla
Il processo Andreotti è stato seguito male dalla stampa. Come le donne quando seguono le partite di calcio. Al momento del goal corrono vicino alla tv, vedono il replay e dicono: "Ah che bella partita". Il processo Andreotti è stato seguito solo il giorno delle sentenze. Ricordo la prima udienza. C'erano giornalisti di tutto il mondo, anche giapponesi. Sono scomparsi tutti. In aula spesso eravamo in cinque: accusa, difesa e tre giudici. Nemmeno un giornalista.
Mi trovavo a Buenos Aires per lavoro. Era la prima volta che andavo in Argentina. Per farmi un'idea della città avevo pensato che sarebbe stato meglio stare in una zona con un po' di vita e così avevo espresso il desiderio di pernottare in un albergo di lusso che dava sulla calle Florida, una strada piena zeppa di negozi.
Tuttavia la guida-interprete di origini giapponesi che mi ricevette in aeroporto mi disse, che c'era stata una sovrapposizione di prenotazioni e che l'albergo che desideravo era completo. Per la prima notte, dunque, avrei dovuto dormire altrove. Stanca per il viaggio, proprio non me l'ero sentita di lamentarmi e così risposi che avrei accettato qualsiasi altra sistemazione, purché della stessa categoria. Tutto sommato, la sera della pria notte avrei dormito e basta.
"Al tour della laguna si può nuotare insieme a tartarughe marine, razze e squali in cattività all'interno di una riserva naturale marina."
Vi avevano preso parte molti turisti provenienti da tutti gli alberghi di Bora Bora; io, però ero l'unica a parteciparvi da sola. Per quanto mi guardassi intorno, gli altri erano tutti francesi o italiani riuniti in piccole comitive formate nei rispettivi hotel. Di giapponesi non ce n'era nemmeno uno. non che la cosa mi preoccupasse più di tanto, tuttavia piccola di statura come sono stare in coda in mezzo a quella confusione mi faceva sentire un po' fuori luogo. Dopo essere stati divisi nei vari gruppi, finalmente venne il mio turno.
Nell'edizione giapponese, questo libro si componeva delle splendide illustrazioni di Hara Msumi, delle foto esclusive di Yamaguchi Masahiro e della mia storia.
Mi preoccupa un po' fare uscire il romanzo da solo, anche se per la prima volta sono riuscita a descrivere Roma, una città che adoro. Un capitolo brevissimo, eppure, mi riempie di gioia sapere che lo leggiate voi italiani. Un giorno, vorrei scrivere qualcosa in cui il vostro paese abbia un ruolo un po' più speciale.
[Postscriptum per l'edizione italiana]
Frasi sul Giappone e sui giapponesi
DiBanana Yoshimoto
Mi piace usare parole straniere, soprattutto inglesi, ma non voglio che rovinino la mia fatica di scrivere nel più bel giapponese possibile, bello da leggere.
[Tratta da un'intervista a LibriAlice del 27 febbraio 1998]