Il mio primo annuncio ufficiale fu trasmesso da Roma [la sede di Torino era già avviata] e precedette un documentario National Geographic. Era il 22 ottobre 1953, fu il primo annuncio di una serie infinita. Lho fatto con la massima tranquillità. I miei genitori andarono a vedermi in un negozio di elettrodomestici. Certamente papà avrà detto: quella è mia figlia.
Ho fatto l'abusivo al Giornale come vice-corrispondente da Torino dal 1987 al 1992. Il corrispondente era Beppe Fossati, bravo e simpatico, ma con poca voglia di lavorare. A volte scrivevo pure i suoi articoli e lui mi dava cinquantamila lire al pezzo.
Caro babbo, fa che Marzullo si tagli i capelli e che Crepet cambi mestiere. Se ti avanza del tempo se facessi smettere di cantare la Lecciso e ballare la De Filippi te ne sarei grata. Ora ti lascio caro Babbo Natale, se non puoi esaudire tutti questi desideri, fa niente: mi hanno detto che la felicità sta dietro l'angolo, fammi sapere solo in quale quartiere. Saluti a te e a quella befana di tua sorella. PS: Se puoi mandare a Torino un po' di neve, che lì di bianco c'è rimasta solo la forfora di Chiamparino. PPS: Il cardinal Ruini mi ha chiesto, visto che lui ha risposte per tutti, se gli puoi mandare Trivial Pursuit per fare bella figura con gli amici.
I Bluebeaters sono stati una piccola bomba che mi è scoppiata in mano. Allinizio era un progettino nato in sala prove per suonare con i miei amici di Torino; con il tempo si è rivelato un progetto molto divertente.
Quel Grande Torino non era solo una squadra di calcio, era la voglia di Torino di vivere, di tornare bella e forte; i giocatori del Torino non erano solo dei professionisti o dei divi, erano degli amici.
Ho vissuto un calcio in cui certi liberi tiravano una riga vicino alla loro area e dicevano 'se la passi ti spacco'. Tempi in cui per ottenere un rigore a Milano o Torino, non bastava un certificato medico di 15 giorni.
[...] Perché la Juventus, dopo già un secolo di storia, è diventata una leggenda. Una leggenda che è sorta in un liceo di Torino e che ha finito per conquistare nove, dieci milioni di tifosi in Italia e, certo, altrettanti all'estero con un nome, una maglia e dei colori conosciuti in tutto il mondo.
Un Torinese che volesse far da guida ad un Italiano d'un'altra provincia venuto qui per la prima volta, per metterlo in una disposizione d'animo favorevole alla città sconosciuta dovrebbe, prima di lasciarlo entrare in Torino, condurlo diritto a Superga. V'hanno spettacoli che sono per la vista degli occhi ciò che sono per la vista della mente quelle grandi intuizioni istantanee del genio, che abbracciano secoli di storia e regioni d'idee.
Don Bosco fu a 26 anni, nel 1841, nel convitto di S. Francesco d'Assisi; sotto la guida di don Cafasso, visitando le carceri di Torino, cominciò ad interessarsi della sorte dei giovani delinquenti, a riflettere che se in tempo si fosse presa cura di loro, almeno una parte di essi avrebbe potuto essere salvata, e a pensare che questo deve essere un altissimo ufficio per la religione e per la società.
Quando sono a Torino, a Milano, e non soltanto, mi muovo con emozione per le strade che ricordano i nomi degli uomini che hanno fatto l'Italia, i re e i primi ministri, ma anche i Cattaneo e i Mazzini.
Con la Juve ho vinto tutto, assaporando la sensazione di tornare a Torino con la coppa più ambita in mano, e ho perso tutto, magari all'ultimo minuto, all'ultimo rigore, con in bocca l'amaro di aver lavorato, lottato, sudato per un anno intero per niente. Momenti di gioia incredibile, in cui ti senti sul tetto del mondo, ma anche momenti di scoraggiamento, di delusioni bruciate, di incredulità.
La Juve è casa mia. Così come lo è Torino, tutt'e due parti di un processo graduale e inesorabile che mi ha portato a sentirmi figlio di entrambe. Il legame con la Juve però è antecedente a quello con la mia città, e sconfina in quel territorio mitico dell'infanzia, di poster e sogni di gloria che cullavo, da bambino perennemente attaccato al pallone qual ero.