Per esaltare il lavoro, nelle cerimonie ufficiali viene mobilitata una retorica insidiosa, cinicamente fondata sulla considerazione che un elogio o una medaglia costano molto meno di un aumento di paga e rendono di più; però esiste anche una retorica di segno opposto, non cinica ma profondamente stupida, che tende a denigrarlo, a dipingerlo vile, come se del lavoro, proprio od altrui, si potesse fare a meno, non solo in Utopia ma oggi e qui: come se chi sa lavorare fosse per definizione un servo, e come se, per converso, chi lavorare non sa, o sa male, o non vuole, fosse per ciò stesso un uomo libero. È malinconicamente vero che molti lavori non sono amabili, ma è nocivo scendere in campo carichi di odio preconcetto: chi lo fa, si condanna per la vita a odiare non solo il lavoro, ma se stesso e il mondo.
Rendere a ciascuno il suo è un nobile ideale, antico quanto l'umanità, ma che diviene più utopico nella misura in cui le società secolarizzate perdono il riferimento trascendente ed oggettivo di questa regola di saggezza.
Ho potuto assistere passo a passo la ricostruzione del teatro Liceu di Barcellona e devo ammettere che i catalani sono proprio tenaci nei loro propositi. Sono riusciti a vincere gli ostacoli politici, economici facendo fronte comune e sostenendo chi li governa con giustizia e trasparenza. Un esempio che da noi, in Italia sembra improponibile, quasi utopico.
["Che valore hanno per te l'utopia, il sogno?"] Io penso che un uomo senza utopia, senza sogno, senza ideali, vale a dire senza passioni e senza slanci sarebbe un mostruoso animale fatto semplicemente di istinto e di raziocinio, una specie di cinghiale laureato in matematica pura.
Il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità, o coraggio di fare. Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia da qualche parte, solo allora diventa un proposito, cioè qualcosa di infinitamente più grande.