Vi è una Sicilia "babba", cioè mite, fino a sembrare stupida; una Sicilia "sperta", cioè furba, dedita alle più utilitarie pratiche della violenza e della frode. Vi è una Sicilia pigra, una frenetica; una che si estenua nell'angoscia della roba, una che recita la vita come un copione di carnevale; una, infine, che si sporge da un crinale di vento in un accesso di abbagliato delirio.
Napoli si era consumata di lacrime di guerra, si sfogava con gli americani, faceva carnevale tutti i giorni. L'ho capita allora la città: monarchica e anarchica. Voleva un re però nessun governo. Era una città spagnola. In Spagna c'è sempre stata la monarchia ma pure il più forte movimento anarchico. Napoli è spagnola, sta in Italia per sbaglio.
La volgarità è il pretesto principe con cui i tromboni, di tutte le epoche, hanno cercato di tappar bocca alla satira. Si parva licet, anche del Boccaccio dicevano che era volgare e anche lui difendeva la sua arte, come me in questo momento. La verità è che la satira non è volgare, è esplicita. La satira usa come tecnica la riduzione al corporeo, alle esigenze fisiologiche primarie: mangiare, bere, urinare, defecare, scopare. Lo fa per sovvertire le gerarchie costituite. È il potere liberatorio della satira, secondo la tradizione millenaria che dalle sette dionisiache arriva fino al nostro Carnevale. Non esiste sacro senza profano. Il sacro senza profano diventa integralismo.
Quando partì la prima raffica, inquadrato nella V metallica del mirino dell'Uzi c'era Rocco Carnevale, fermo davanti al bar sotto il portico, la tazzina del caffè in mano. Saltò all'indietro, lanciando in aria il piattino bianco col bollo rosso della Segafredo che Matteo Parisi, in piedi accanto a lui, seguì istintivamente con gli occhi, un attimo prima di piegare violentemente la testa di lato, su una spalla, col mento troncato di netto da un calibro nove a punta morbida.
Perché è così difficile assicurare il tiranno vivo a una cella per il resto dei suoi giorni? In verità, si direbbe che il tiranno, l' arte del tiranno, sia ancora troppo affascinante agli occhi di tanti suoi nemici. Assicurarlo a una prigione normale, senza privilegi e senza torture, una prigione mediocre - questo si addirebbe alla democrazia. La si vuole esaltare, invece, in una cerimonia stupefacente, un carnevale della ferocia detronizzata, un Saddam Hussein appeso prima per il collo poi per i piedi, per così dire, davanti agli stessi occhi che si abbassavano terrorizzati dal suo arbitrio.