[Rispondendo alle dichiarazioni di Antonio Cassano del 15 novembre 2012] Leggo con stupore le dichiarazioni rilasciate oggi dal signor Cassano, a seguito delle quali mi trovo costretto a fare alcune precisazioni: in primo luogo, non ho mai proferito il termine «moralità», della quale, tra l'altro, sono molto dotato, nonostante la squalifica per omessa denuncia sulla quale ho già espresso le mie opinioni in passato. Alla domanda su come vengano effettuate le scelte dei giocatori della Juventus ho fatto riferimento all'uomo, inteso come interprete del ruolo di calciatore in maniera professionalmente ineccepibile. Vale a dire: l'impegno, il rispetto delle regole, il rispetto dei ruoli, l'attaccamento al bene comune della squadra. Mi sembra che il signor Cassano nella propria carriera abbia più volte dimostrato sul campo e fuori dal campo, vedi imitazioni di Capello al Real Madrid, o le corna mostrate all'arbitro Rosetti ed altri episodi, di non avere i requisiti richiesti dal sottoscritto. Inoltre altri aneddoti in tal senso ce li ha raccontati lui stesso nella sua biografia. Ritengo pertanto di non dover aggiungere altro, fermo restando che quando uso determinati termini, ne valuto appieno il significato letterale.
Mi piace da morire il modo in cui gli uomini tentano di capirci, la pazienza, la delicatezza e lo stupore con cui si accostano a un mondo, quello femminile, che ai loro occhi deve apparire piuttosto assurdo e lunare. Nella maggior parte dei casi, dimostrano di essere ottime persone sorprese da un universo complicato.
"Quando tu guarderai il cielo, la notte, visto che io abiterò in una di esse, visto che io riderò in una di esse, allora sarà per te come se tutte le stelle ridessero. Tu avrai, tu solo, delle stelle che sanno ridere!" E rise ancora. "E quando ti sarai consolato (ci si consola sempre), sarai contento di avermi conosciuto. Sarai sempre il mio amico. Avrai voglia di ridere con me. E aprirai a volte la finestra, così, per il piacere... E i tuoi amici saranno stupiti di vederti ridere guardando il cielo. Allora tu dirai: "Sì, le stelle mi fanno sempre ridere!" e ti crederanno pazzo. "T'avrò fatto un brutto scherzo..." E rise ancora. "Sarà come se t'avessi dato, invece delle stelle, mucchi di sonagli che sanno ridere..."
Così come oggi parliamo delle ingombranti macchine da scrivere, dei telefoni a disco o delle televisioni che oltre a non aver il telecomando erano in bianco e nero, forse tra vent'anni parleremo dei motori a scoppio con lo stesso stupore scambiandoci battute tipo: "Ma ti ricordi quando bruciavamo il petrolio per far funzionare le nostre auto?!"
Cosa resta di tutto il dolore che abbiamo creduto di soffrire da giovani? Niente, neppure una reminiscenza. Il peggio, una volta sperimentato, si riduce col tempo a un risolino di stupore, stupore di essercela presa per così poco, e anch'io ho creduto fatale quanto poi si è rivelato letale solo per la noia che mi viene a pensarci.
Non cerco di immaginare un Dio; mi basta guardare con stupore e ammirazione la struttura del mondo, per quanto essa si lascia cogliere dai nostri sensi inadeguati.