Lorenzaccio è quel gesto che nel suo compiersi si disapprova. Disapprova l'agire. E la storia medicea, dispensata, non sa di fatto stipare questo suo (?) enigma eroico; ha subìto e glorificato di peggio, questa Storia. Ma le cose son due: o la Storia, e il suo culto imbecille, è una immaginaria redazione esemplare delle infinite possibilità estromesse dalla arbitraria arroganza dei 'fatti' accaduti (infinità degli eventi abortiti); o è, comunque, un inventario di fatti senza artefici, generati, cioè, dall'incoscienza dei rispettivi attori (perché si dia un'azione è necessario un vuoto della memoria) che nella esecuzione del progetto, sospesi al vuoto del loro sogno, così a lungo perseguito e sfinito, dementi, quel progetto stesso smarrirono, (de)realizzandolo in pieno.
Il fatto di essere nati [Negli anni '30] costituiva di per sé un'impresa. Sopravvivere ai tumulti dell'utero, a questo natale bellico, allora funesto nel novanta per cento dei casi. Più che nato, sono stato abortito. Ecco, io mi considero a tutti gli effetti un aborto vivente.
Dare delle assassine alle donne che abortiscono, è una cosa che mi lascia indifferente, è come quando a una che fa carriera si dice troia. Non mi sento ferita, è solo una violenza verbale che non porta da nessuna parte. Mi fa più paura il tornare indietro da una legge giusta, come mi fa paura non riconoscere le pratiche omosessuali, o non riuscire a risolvere le problematiche dell'immigrazione. L'integralismo è questo: non scendere mai in mezzo agli esseri umani. Ho capito che parli di Dio, ma lui c'è sceso, si è reso conto. Se mi dici le cose solo dall'alto, io ti rispondo: "Ehi, ma quaggiù le cose sono diverse."
Parlo di guerra, di Usa, di Boutros Ghali, di Cnn, di infibulazione, di aborto. E ogni volta, giuro, con una preparazione superiore a quella dei giornalisti. È questo che non mi viene perdonato.