Ricordo ancora il primissimo lavoro: era il 1960, avevo solo vent'anni. Mi presero come comparsa in uno sceneggiato televisivo che andava in diretta, e del quale ora non ricordo neppure il titolo, per una scena soltanto, seduto a un tavolo da poker fra Massimo Girotti e Giorgio Gora. Non avevo neppure una battuta. Ma prima di andare in onda avevo avvertito amici e parenti, sapevo che erano tutti lì, eccitatissimi, davanti al video, e non seppi resistere. Mi misi a dire: chip, duemila, rilancio: a improvvisare, insomma. Mentre gli altri due - cui interrompevo le battute ma che non potevano far nulla per fermarmi - mi guardavano con odio.
Chi mi ha fatto le carte, mi ha chiamato vincente ma uno zingaro è un trucco e un futuro invadente, fossi stato un po' più giovane, l'avrei distrutto con la fantasia, l'avrei stracciato con la fantasia. Ora le tue labbra puoi spedirle a un indirizzo nuovo, e la mia faccia sovrapporla a quella di chissà chi altro ancora. I tuoi quattro assi bada bene di un colore solo, li puoi nascondere o giocare come vuoi, o farli rimanere buoni amici come noi. Santa voglia di vivere e dolce Venere di Rimmel. Come quando fuori pioveva e tu mi domandavi se per caso avevo ancora quella foto in cui tu sorridevi e non guardavi, ed il vento passava sul tuo collo di pelliccia e sulla tua persona; e quando io, senza capire, ho detto sì. Hai detto "È tutto quel che hai di me". È tutto quel che ho di te.
Un figlio di puttana si era rifiutato di scucire il grano, tutti che dicevano d'essere al verde, il pokerino era finito, io ero lì seduto col mio fratellino Elf, Elf era un ragazzo svampito, svaccato in toto, era stato a letto per anni a spremersi le palle gommose, a fare esercizi folli, e quando poi era sceso dal letto era più largo che lungo, un bruto sorridente tutto muscoli che voleva fare lo scrittore ma suonava un po' troppo come Thomas Wolfe e, a parte Dreiser, T. Wolfe è proprio il peggior scrittore che sia mai nato in America, e io colpii Elf dietro l'orecchio e la bottiglia cadde giù dal tavolo.
[Sul poker] [...] Soprattutto per tutta la preparazione mentale che bisogna fare prima di approcciare un torneo. Questo agonismo, misto alla tattica, lo rende uno sport vero e proprio.
Ero edberghiano e Becker, al tempo, mi appariva come il Nemico. Coscia grosse, mezzo albino, esibizionista: quante volte non ho certo pianto per sue sconfitte. Anche soprattutto quando scontò la pena con Michael Stich, l'Ariano odioso e bellissimo. Oggi sono passati gli anni, Becker è uno stanco giocatore di poker, nella vita ha sbagliato quasi tutto e mi accorgo di quanto farebbe bene al circuito.