Ora se un cattolicesimo potesse reggersi su questa dottrina, per conto mio, estraneo alla fede del Rinnovamento, mi sentirei praticamente obbligato a sostenerne la propaganda. Ma che dottrina è questa? Se l'ultima parola, quando l'autorità sia in conflitto con la coscienza, spetta alla coscienza, non è chiaro che l'ultima parola alla coscienza spetta sempre, anche quando pare che si obbedisca umilmente? La coscienza potrebbe dire a se stessa: «Qui non è il caso di conflitto e di appello» senza esaminare e giudicare in sede di cassazione? Nella autorità e bella obbedienza cotesta, in cui nessuna sentenza alla prima, per se stessa, senza la sanzione della coscienza, avrebbe vigore! L'eccezione, una volta ammessa, qui, come in tanti altri casi, è regola, magari non esplicita, ma sempre una regola. Infatti, dicono benissimo l'Alfieri e il Casati che l'obbedienza stessa suppone la coscienza che obbedisce come soggetto! Dunque non è possibile obbedienza che distrugga la coscienza.
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Tommaso d'Aquino, commentando Paolo di Tarso, dice che la fede, a differenza della scienza espressa dalla ragione umana conduce in captivitatem omnem intellectum, cioè rende l'intelletto prigioniero di un contenuto che non è evidente, e che quindi gli è estraneo (alienus), sicché l'intelletto è inquieto (nondum est quietatus) di fronte alla scienza, nei cui confronti si sente "in infirmitate et timore et tremore multo". Dov'è finita questa prudenza tomista che non concede di identificare immediatamente la fede con la verità? E se i cattolici sono già in possesso della verità che senso ha per loro studiare e insegnare filosofia se la verità che la filosofia si propone di cercare già la possiedono? Cosa rispondono ad Heidegger là dove scrive che quando la filosofia è accompagnata da un aggettivo, come è il caso di una "filosofia cristiana" ci si trova di fronte a un circolo quadrato o, come vuole l'espressione di Heidegger a un "ferro ligneo"? E infine che tipo di dialogo è possibile con un cristiano, se questi è già convinto di possedere la verità?
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La fede a sua volta non ha a che fare con la verità perché, lo dice Tommaso D'Aquino commentando Paolo di Tarso, la fede, a differenza della scienza espressa dalla ragione umana, conduce in captivitatem omnem intellectum, cioè rende l'intelletto prigioniero di un contenuto che non è evidente, e che quindi gli è estraneo (alienus), sicché l'intelletto è inquieto (nondum est quietatus) di fronte alla scienza nei cui confronti si sente in infirmitate et timore et tremore multo.
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