Or son pur solo, e in queste selve amiche | Non v'è chi ascolti i mici lugubri accenti | Altro che i tronchi delle piante antiche. | Flebile fra le tetre ombre dolenti | Regna il silenzio, e a lagrimar m'invoglia | Sotto del cupo mormorio de' venti. | Qui dunque posso piangere a mia voglia; | Qui posso lamentarmi, e alla fedele | Foresta confidar l'alta mia doglia. | Donde prima degg'io, Ninfa crudele, | II tuo sdegno accusar? donde fia mai | Ch'io cominci le mie giuste querele?
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Si era recato lassù proprio allora per cercare il legno da fare i pifferi. Sapeva che, tagliando i frassini nella notte tra il 20 e il 21 di quel mese, gli strumenti suonavano meglio. In quella notte di primavera, tutti i boschi della Terra intonano melodie. Pare che un misterioso segnale percorra l'intero pianeta per dire agli alberi di mettersi a cantare. E quelli lo fanno, a squarciagola. Per questo, i pifferi dell'ertano e i violini di Stradivari suonavano così bene. Entrambi tagliavano le piante la notte di primavera, tra il 20 e il 21 maggio, quando i boschi della Terra cantano assieme. Il nostro compaesano aveva ricevuto dagli antenati quel segreto, che passava di padre in figlio. Lo aveva tramandato attraverso le generazioni di un antico liutaio ertano, il quale, si racconta, lo svelò per una botticella di vino a Stradivari quando venne da queste parti in cerca di abeti per i suoi violini.
Di
Mauro Corona
Fu un amore, amici, | che doveva finire; | credemmo che gli uomini fossero santi, | i cattivi uccisi da noi, | credemmo diventasse tutta festa e perdono, | le piante stormissero fanfare di verde, | la morte premio che brilla | come sul petto del bambino | la medaglia alle scuole elementari. | Con pena, con lunga ritrosia, | ci ricredemmo. | Rimane in noi il giglio di quell'amore.
Di
Mario Tobino
Il cedro, insuperbito della sua bellezza, dubita delle piante che li son dintorno, e fattolesi torre dinanzi, il vento poi, non essendo interrotto, lo gittò per terra diradicato.
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